domenica 1 gennaio 2012

Michel de Montaigne




Montaigne, ritratto di anonimo, 1590.


Dei libri


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   Mi piacciono gli storici o molto semplici o eccellenti. I semplici, che non hanno da metterci nulla del loro, e che non vi apportano che la cura e la diligenza di raccogliere tutto quello che viene a loro conoscenza, e di registrare in buona fede ogni cosa senza scelta e senza distinzione, ci lasciano il giudizio intatto per la conoscenza della verità. Tale è fra gli altri, per esempio, il buon Froissart, il quale ha proceduto nella sua impresa con così franca sincerità che se ha commesso un errore non teme affatto di riconoscerlo e di correggerlo nel punto in cui se ne è accorto; e che ci riporta perfino la diversità delle voci che correvano e le differenti relazioni che gli venivano fatte. È la materia della storia, nuda e informe; ognuno può trarne profitto secondo la portata del proprio intelletto. I più eccellenti hanno l’abilità di scegliere quello che è degno di essere conosciuto, possono distinguere fra due versioni quella che è più verosimile; dalla condizione dei principi e dai loro umori essi deducono i loro pensieri e mettono loro in bocca le parole adatte. Essi hanno ragione di prendersi l’autorità di regolare la nostra opinione sulla loro; ma certo questo non è da molti. Quelli che stanno nel mezzo (che sono i più), costoro ci guastano tutto; vogliono masticarci i bocconi; si arrogano il diritto di giudicare, e quindi di piegare la storia a loro capriccio; perché, quando il giudizio pende da una parte, non si può evitare di volgere e torcere la narrazione in quel senso. Essi si mettono a scegliere le cose degne di essere conosciute, e spesso ci nascondono tale parola, tale fatto privato, che ci informerebbe meglio; omettono come incredibili le cose che non capiscono, e forse anche altre cose perché non sanno dirle in buon latino o in buon francese. Sfoggino pure arditamente la loro eloquenza e i loro ragionamenti, giudichino a loro piacimento; ma ci lascino anche di che giudicare dopo di loro, e non alterino né omettano niente, con i loro tagli e la loro scelta, della sostanza dell’argomento: anzi ce la trasmettano pura e integra in tutte le sue dimensioni.
   Il più delle volte si scelgono per questo compito, e specialmente in questi secoli, persone del volgo, per la sola considerazione che sanno parlare bene; come se cercassimo di imparare da loro la grammatica! Ed essi hanno ragione, essendo stati ingaggiati solo per questo e avendo messo in vendita solo la chiacchera, di curarsi principalmente solo di questa parte. Così, a forza di belle parole, ci vanno cucinando una bella miscela delle voci che raccolgono nei crocicchi delle città. Le sole storie buone sono quelle che sono state scritte da quegli stessi che erano al comando delle imprese, o che avevano parte nella guida di esse, o, almeno, che hanno avuto la fortuna di condurne altre della stessa specie. Così sono quasi tutte le storie greche e romane. Di fatto, poiché parecchi testimoni oculari hanno scritto sullo stesso argomento (come avveniva in quel tempo in cui la grandezza e il sapere si trovavano spesso congiunti), se c’è errore deve essere straordinariamente lieve, e su un particolare molto dubbio. Che cosa si può sperare da un medico che tratti della guerra, o da un erudito che tratti dei disegni dei principi? [...]




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Dai Saggi, a cura di Fausta Garavini, Adelphi, Milano 1992, II, X, pp. 538-540.