Cachi e castagne
per Giampiero Neri
I
Era una stretta via, quella del rio Marano, che staccandosi dall’Emilia
penetrava in una dolce campagna di coltivi.
Dopo un lungo rettilineo prendeva a serpeggiare tra le colline
con curve e controcurve inoffensive ad occhio nudo ma che
tenaci salivano nell’infittirsi della vegetazione.
Lo sapeva bene l’ansimante ciclista della domenica
lieto di poter rivedere, dove la strada di punto in bianco moriva,
una fontanella di ghisa col suo pulsante d’ottone.
Più non avrebbe potuto dire quante domeniche fossero passate
finché non giunse l’ultima di febbraio:
rialzandosi dal filo d’acqua sgorgante dal beccuccio
s’accorse per la prima volta dei cachi abbandonati a se stessi,
un campo intero di pomi penzolanti dagli spogli rami,
grosse gocce rossoannerite scampate alla neve che tutt’intorno andava
disciogliendosi, cibo miracoloso per un finimondo di minuscoli uccelli.
II
Sul finire d’ottobre si ricordò d’un paio di castagni.
Facevano castagne buone ma troppo piccole, non adatte al commercio,
nemmeno i contadini le mangiavano più.
Il cielo era di quelli che dicono pioggia da un momento all’altro
furono infatti le prime gocce a risvegliare
l’improvvisato coglitore dal tappeto di ricci in cui frugava.
Sull’opposta riva del ripido pendio vide allora le capre
bianche e marroni, una brucava, l’altra lo guardava
e ancora lo guardava quando lui
raccolto il suo sacchetto, le disse «ciao, bella, vado via».
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Da Finestre di via Paradiso, presentazione di Giampiero Neri, peQuod, Ancona 2008, nonché da Riunione di famiglia, con una nota di Jean Robaey, di imminente pubblicazione presso Interlinea di Novara.