martedì 6 dicembre 2011

Raymond Chandler




   Poteva avere vent’anni. Era esile e delicata, ma pareva in grado di reggere la prova. Portava un paio di pantaloni blu stinto, e le stavano bene. Camminava come fluttuando. I suoi capelli biondastri tagliati più corti di quanto si usasse erano un’onda leggera. I suoi occhi grigio ardesia posati su di me mancavano quasi completamente di espressione. Mi si avvicinò, e mi sorrise con i piccoli denti aguzzi da bestia da preda, bianchi come l’interno d’una scorza d’arancia fresca e risplendenti come la porcellana. Uno sfavillio tra le labbra sottili e troppo tirate. La sua faccia, però, non aveva colore, non pareva molto in salute.
   – Siete alto, eh? – disse.
   – Non lo faccio apposta.
   Gli occhi le si dilatarono. Era sconcertata. Rifletteva. Non ci si conosceva da molto tempo, ma ero sicuro che la riflessione non fosse esattamente il suo forte.
   – Siete bello – disse. – E scommetto che lo sapete.
   Grugnii.
   – E come vi chiamate? – disse ancora lei.
   – Reilly – dissi. – Doghouse Reilly.
   – Un nome buffo – disse. Si morsicò le labbra, inclinò un poco la testa per scoccarmi un’occhiata in tralice. Poi calò giù le ciglia sulle guance, e le ritirò su come un sipario. Un trucco a cui in seguito finii per abituarmi. Supposi che, secondo lei, doveva bastare per stendermi con le zampe per aria.
   – Siete un campione di boxe? – domandò, dato che mi comportavo come avrei dovuto.
   – Non proprio dissi. – Faccio il segugio.
   – Ah... hah... – scrollò la testa, irritata, e il caldo splendore dei suoi capelli accese la penombra dell’atrio. – Mi volete prendere per il...
   – Uh... uh... uh...
   – Cosa?
   – Mi avete sentito – dissi.
   – Ma non avete detto nulla. Mi volete prendere per il... – tirò su quel pollice e lo addentò. Era un pollice bizzarro, stretto e sottile come le altre dita, lo si sarebbe detto un indice supplementare, magro e affusolato, senza curva alla prima articolazione. Lo morsicava, lo succhiò lentamente, se lo rigirò in bocca come un lattante la tettarella.



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Da Il grande sonno, Traduzione di Oreste Del Buono, Feltrinelli, Milano, ristampa 1993.