sabato 10 dicembre 2011

g. z.




Sviluppo di una nota

La voce cannezza, dal romagnolo caneza, non è riportata in nessun dizionario di lingua italiana, stando ai quali, tutt’al più, avrei potuto ricorrere a sinonimi come canne palustri o cannucce, quando racconto del lago di mia nonna.
Tra i dizionari di dialetto romagnolo ne ho trovati invece un paio che traducono caneza con canniccio, ma non so spiegarmene la ragione, se poi quelli di lingua italiana sono tutti concordi nel definire il canniccio una stuoia, un graticcio, un cannaio e simili, ossia oggetti fatti di canne, per dirla in breve.       
Peraltro, non mi sarebbe affatto dispiaciuto dire che le sponde di quel lago erano in gran parte ricoperte di canne, anche perché avrei detto una cosa vera, tuttavia mi sarei sentito comunque costretto a precisare che erano del genere palustre, altrimenti qualcuno avrebbe potuto scambiarle per quelle coltivate nei canneti, che sono numerosi dalle mie parti, dove crescono decisamente più svettanti e robuste. È questa precisazione, doverosa quanto pesante, che mi ha infine dissuaso dall’utilizzarle. 
Quanto al vocabolo cannuccia, altro nome della canna di palude, pur avendo dalla sua tutta una tradizione letteraria, sbaglierò, ma oggi lo sento un po’ decaduto, più adatto a identificare il tubicino che si mette nei bicchieri per sorbire le bibite.
Ad ogni modo, né con canne palustri né con cannucce sarei riuscito a raffigurare quel che visivamente è una massa vegetale fitta e variegata, un disordine di canne piu o meno alte e più o meno esili, foglie e infiorescenze varie. Insomma a restituire l’immagine realistica di quel che fin da piccolo io ho sempre chiamato, in una parola, cannezza. 


Nevo

Sappiamo tutti cos’è un neo, mentre non tutti probabilmente sanno cosa sia un nevo, come non lo sapevo io, prima che mi capitasse sotto gli occhi sfogliando un dizionario.
Dove infatti scopro che è un termine piuttosto recente, coniato nel 1937 per consentire ai medici di definire in modo più specialistico, si può ragionevolmente supporre, il volgarmente detto neo.
Sotto il profilo etimologico niente da eccepire, perché comunque è ripreso ancora dal neo latino, naevus.
Quel che invece viene naturale domandarsi è se di tale sinonimo scientifico ci fosse realmente necessità, dopo che per secoli non se ne era sentito alcun bisogno.
Anche perché più che un sinonimo somiglia veramente a un doppione, tra i tanti che sembrano stati fatti apposta per complicarci la vita. 
Intanto, in attesa della risposta di un competente in materia, prendiamo nota di una parola in più, anzi di due, se poi dal sostantivo nevo è germinato l’aggettivo nevico che – attenzione! – con la neve non c’entra nulla, significa “riguardante i nei”, appunto.
Fermo restando che questo nuovo neo, o nevo per meglio dire, evoca irresistibilmente quelli posticci che gentiluomini e gentildonne applicavano maliziosamente sui loro volti imbellettati.




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Da Nove prose + quindici, con una Nota di Giampiero Neri, Colpo d’occhio, Rimini 2010.