venerdì 16 dicembre 2011

Alfonso Berardinelli




Qual è il difetto principale della nostra critica militante?

Per avere dei difetti definibili, la nostra critica militante dovrebbe prima cercare di esistere, invece che suicidarsi. I critici letterari che hanno trovato importante il romanzo di Eco o che partecipano per esempio a “Mixer cultura”, sono dei suicidi. Il loro nobile sacrificio, però, è del tutto inutile, perché il pubblico lo sapeva già che un intellettuale è mediamente più stupido di chiunque altro.


Cito dalla tua prefazione a L’esteta e il politico: “I filosofi non ragionano. I poeti sono privi di fantasia. I giornali mancano di curiosità. I preti non sanno niente di Dio. I vecchi parlano del futuro. I giovani si adeguano...”. C’è qualcosa che sfugge a questo trionfo della dialettica?

Credo che si possa sfuggire a questa dialettica trionfante. Basta non aver voglia di partecipare a “quella” festa, con “quegli” invitati... E poi, meno solerzia, meno prontezza, meno riflessi condizionati. Astrarsi, guardare altrove, avere qualcosa di meglio da fare, qualcosa che nessuno apprezza, che non ha prezzo, che nasce e finisce lì, che non si può tradurre in nient’altro, in prodotto o profitto. Più di duemila anni fa, pare che Socrate, di fronte a un’esposizione di merci, abbia esclamato: “È incredibile di quante cose non sento il bisogno”.


Com’è oggi il “pubblico della poesia”?

Non ne so più molto. Dopo averlo evocato, ho fatto il possibile per stare altrove. La poesia come genere letterario mi pare che oggi attiri prevalentemente chi ha meno talento artistico e meno cose da dire. O coloro che hanno l’illimitata umiltà e assenza di ambizione di accettare di essere letti e recensiti dagli attuali lettori e critici di poesia.


C’è ancora, tra i viventi, un poeta che ami? E un altro che ritieni misconosciuto?

Continua a sembrarmi amabile qualsiasi poeta mi convinca immediatamente di essere tale a una prima lettura (e così di solito accade). Di poeti ce ne sono. Sembrano pochi solo di fronte alla massa davvero innumerabile di coloro che scrivono e stampano. In questa situazione, ogni poeta che lo sia veramente risulta più o meno misconosciuto, e sommerso da un rumore fastidiosissimo.




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Da una più lunga intervista di Grazia Cherchi apparsa in “Il Secolo XIX” (giugno 1988), poi in Grazia Cherchi, Scompartimento per lettori e taciturni, Feltrinelli, Milano 1997, pp. 188-189.