La voce del colonnello non soltanto non esprimeva alcuna desolazione, ma sonava anzi assai compiaciuta, e i suoi occhietti erano in assoluta contraddizione con le sue parole.
“Aha-a!” pensò significativamente Turbin “Io sono un imbecille... ma questo colonnello non è mica scemo. Un carrierista probabilmente, a giudicare dalla faccia, ma questa è un’altra questione.”
«Non so proprio cosa fare... d’altronde, nel momento attuale,» il colonnello sottolineò con forza la parola “attuale” «insomma nel momento attuale, dico, il nostro compito immediato è di difendere la Città e l’etmano dalle bande di Petljura e, magari, dai bolscevichi. E poi, poi si vedrà... Mi permetta di chiederle, dottore, dove ha prestato servizio fino a questo momento?»
«Nel millenovecentoquindici, terminata l’università, alla clinica di malattie veneree come esterno, poi sono stato assistente nel reggimento degli ussari Belgradskij, e dopo ho prestato servizio all’ospedale riunito centrale. Attualmente sono smobilitato ed esercito la professione privata.»
«Allievo ufficiale!» esclamò il colonnello. «Chiami l’ufficiale superiore.»
Una testa sprofondò nella buca e poco dopo davanti al colonnello comparve un giovane ufficiale, nero, vivace e pertinace. Portava un rotondo berretto di astrakhan dal cocuzzolo color lampone con i galloni incrociati e un cappotto grigio, lungo, á la Myšlaevskij, stretto in vita da una cintura con la rivoltella. Le sue gualcite spalline dorate rivelavano che era capitano in seconda.
«Capitano Studzinshij,» gli si rivolse il colonnello «abbia la compiacenza di indirizzare allo Stato Maggiore una nota sull’immediato trasferimento del tenente... ehm...»
«Myšlaevskij» disse, facendo il saluto, Myšlaevskij.
«...Myšlaevskij dalla seconda legione con le funzioni di sua competenza. E al contempo, una nota da cui risulta che il dottor... ehm?»
«Turbin...»
«...Turbin mi è estremamente necessario in qualità di medico della divisione. Si richiede la sua assegnazione urgente.»
«Agli ordini, signor colonnello» rispose l’ufficiale, pronunciando le parole con tutti gli accenti sbagliati, e fece il saluto.
“Un polacco” pensò Turbin.
«Lei, tenente (a Myšlaevskij), può non tornare alla sua compagnia. (All’ufficiale.) Il tenente prenderà il comando del quarto plotone.»
«Agli ordini, signor colonnello.»
«Agli ordini, signor colonnello.»
«E lei, dottore, da questo momento è in servizio. Le propongo di presentarsi oggi stesso, fra un’ora, sulla piazza del ginnasio Aleksandrovskij.»
«Agli ordini, signor colonnello.»
«L’equipaggiamento al dottore, subito.»
«Agli ordini.»
«Pronto, pronto!» gridava la vocetta da basso nella buca.
«Mi sentite? No. Dico: no... No, dico.» gridava qualcuno dietro il tramezzo.
«Drrri-inn... Pi... Pi-u» cantava l’uccellino nella buca.
«Mi sentite?...»
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Da La guardia bianca, Traduzione di Anjuta Gančikov, Rizzoli, Milano, ristampa 2001.