lunedì 14 novembre 2011

Vittorio Sereni





    S’intende che di queste confidenze, come chiamarle altrimenti?, non faccio una regola, tanto meno per altri. Cerco solo, perché questo mi è stato domandato e a questo solo rispondo, di rendere conto di come vedo me stesso di fronte a ciò che scrivo o meglio ancora ho scritto: con riluttanza data dal disagio di andare attorno con la qualifica di scrittore e più specificatamente di poeta, denominazione di cui non c’è ragione di vergognarsi ma che mi disturba se appena penso a quella specie di corpo separato, di inesorabilmente recintato zoo che è divenuto, per tante ragioni e nonostante molti segni contrari, che ritengo fallaci o speciosi, il mondo degli scrittori e in particolare dei poeti. Avere coscienza di questo e al tempo stesso avere puntato troppo nel corso di un’esistenza sul pensiero dominante della poesia, ecco una grave contraddizione di cui soffro e che debbo tuttavia ammettere. Ciò non toglie che vorrei veder dissolversi quel mondo – ho detto degli scrittori e dei poeti, non della scrittura e della poesia, ossia delle opere –, cadere le sbarre che recingono lo zoo del corpo separato al quale nonostante tutto appartengo.

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    A Milano, qualche anno fa, c’è stata una mostra d’arte intitolata La ricerca dell’identità, titolo contestato da alcuni in quanto mero pretesto, insegna gratuita sotto cui riunire un certo numero di opere più o meno pregevoli, più o meno indicative. Comunque sia quel titolo ha il senso di una giustificazione provvisoria, di una risposta alle oziose domande del perché e del per chi si scrive o, in genere, si opera. Non fa che rispondere a un motivo ricorrente nel nostro tempo, tanto da far dire che tutto, oggi, ogni operazione o manifestazione fondata su una volontà espressiva non è altro che ricerca dell’identità. Difficile supporre, oggi che nessuno si sentirebbe più di immaginare una definizione dell’arte, della poesia e tanto meno di immaginarla una volta per tutte, difficile supporre che un dipinto o una poesia o in generale una forma perseguita con intenti d’arte abbia altro significato che questo; non una definizione del fatto di mettere segni sulla tela o parole sulla carta, ma certo una motivazione o addirittura una discolpa per operazioni del genere: appunto, la ricerca dell’identità.




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Da Autoritratto, in Gli immediati dintorni primi e secondi, Il Saggiatore, Milano 1983. Poi in La tentazione della prosa, a cura di Giulia Raboni, Mondadori, Milano 1998.