mercoledì 9 novembre 2011

Natalino Sapegno





    La forma della novella boccaccesca è condizionata, dall’indole dello scrittore e dall’animo con cui esso si accingeva al racconto, è tutt’uno anzi con quest’animo e con quest’indole, che si possono cogliere appieno solo nel suo raccontare, nel modo di lavorare un soggetto e trarne una novella, nel come dispone in una certa determinata e inconfondibile maniera una trama, che potrà essere una storia già letta o un aneddoto storico, un racconto tradizionale o una sua immaginosa invenzione.
    Il presupposto che più condiziona il novellare del Boccaccio è quel suo modo distaccato di porsi di fronte alla vita, quella sua immaginazione di un idillico mondo di giovani tra cui le cento novelle del libro vengono narrate: ancora una volta la cornice ci appare non un’invenzione estrinseca, ma la forma naturale e come simbolica di un modo di sentire l’arte e la vita.
    Il Decameron è essenzialmente racconto; e il quieto adagiarsi dei giovani nel pieno meriggio, quando il sole è già alto «nè altro s’ode che le cicale su per gli ulivi», quel raccontare a che il tempo trascorra più lieto, determina un narrare riposato e pacato, in cui le storie si snodano lente, con un soffermarsi compiaciuto su ogni particolare che accresca il diletto, con un lento fluire di musicali periodi che s’indugino ad accarezzare il fantasma, a dipingere a tratti larghi figure ed azioni di uomini.
    Si aggiunga a questo il carattere del Boccaccio, intelletto essenzialmente lucido e chiaro, non offuscato da passioni o da pregiudizi, desideroso di tutto vedere e di tutto spiegarsi; ed ecco allora l’impressione che dà una sua pagina, di un occhio limpido ed attento che osservi con attenzione serena e su tutto si indugi con la stessa cura amorosa.
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Dalla Antologia della storia e della critica letteraria, vol. I, Dalle origini al Quattrocento.