domenica 6 novembre 2011

Roberto Longhi





 








Piero della Francesca, Ritratti di Battista Sforza e di Federico da Montefeltro, 1465 ca., Galleria degli Uffizi, Firenze.




   Piero dei Franceschi (opera dal 1440 al ’90 circa). Immaginate le forme appianate e i delizianti colori di Paolo Uccello trasportati in iscala monumentale e solenne: sopprimete i residui dell’intonazione  gotica di fiaba notturna ancora frequenti in Paolo Uccello e intonate anzi ogni superficie alla luce diurna di Domenico Veneziano ma resa più chiara più meridiana, più plein-air, e avrete Piero dei Franceschi; che giunge per tal modo, ancora vivo il suo precursore, a dare alla sintesi prospettica un valore classico immutabile assoluto.
   Qualche esempio, subito. Ecco i due ritratti (un dittico nuziale) di Federigo da Montefeltro e di Battista Sforza agli Uffizi. Egli era obbligato alla scelta del profilo (i due coniugi dovevano guardarsi) e il profilo si rannodava facilmente a tendenze lineari, tanto più quando fosse accentuato come in questi modelli, e tuttavia quale senso struttivo di forme regolari anche nel Federigo, nella scelta del berrettone tondo, ne’ piani del viso, nel declivio poderoso del mento, nell’immobile torreggiare del busto sul paesaggio improvvisamente basso e lontano! Anche la luce serve a regolarizzare la forma cosicché due piccoli porri del duca si tramutano in perline isolate più preziose di quelle della collana della duchessa, aderenti per miracolo all’epiderma, ognuna portando allato la sua piccola ombra solare! Ed è bene l’intonazione maravigliosamente solare e a piombo nella forma che incastona le forme vicine sulle forme lontane ad ottenere in totale l’effetto di superficie coloristica in tutto il quadro. Sull’azzurro scialbato del celo si distendono allora le due fasce tropicali del rosso di brique del berrettone e del corsetto alternate dall’oro pallente del viso sotto la zona caldissima dei capegli d’ebano.




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Da Breve ma veridica storia della pittura italiana, Rizzoli, Milano 1994, pp. 76-77.