domenica 13 novembre 2011

Franco Fortini





    Va poi ricordato che nello scorso mezzo secolo e, soprattutto nell’ultimo ventennio, molto è mutata l’immagine che l’autore di versi ha di sé medesimo. Se Guido Gozzano diceva di vergognarsi di essere un poeta, nel 1925 Eugenio Montale poteva compiangere che la voce «che amore detta» gli si facesse «lamentosa letteratura», e una quarantina d’anni più tardi Vittorio Sereni iniziava ironicamente una sua poesia con le parole Se ne scrivono ancora (sottointendendo: di poesie). Eppure se il compiacimento della padronanza tecnica e la tradizione secolare possono ancora infondere in un autore il senso della partecipazione a una corporazione privilegiata e gloriosa, sempre più sembra diffondersi – come è accaduto anche in altri tempi e culture – l’idea che la comunicazione letteraria e poetica sia invero una funzione del linguaggio, che chiunque può usare, a fini di conoscenza e di educazione.



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Da I poeti del Novecento, Laterza, Bari 1977 (ristampa 1988, p. 5).