mercoledì 17 agosto 2011

Introduzione a "Finestre"

Con queste "finestre" apro una mia personale rivista, di sola lettura e con eventuali collaborazioni ad invito, legata essenzialmente alla poesia, augurandomi che possa rivelarsi di pubblica utilità. Intanto, però, sarà utile che io mi presenti. Sono nato nel 1959 a Cesena, dove risiedo e lavoro. Ho esordito in versi nel 1984 con la plaquette Monolocale, Presentazione di Renato Turci, Maggioli, Rimini. Le varie pubblicazioni successive, che hanno scandito per anni un’attività costante e appartata, sono confluite nel volume I rimanenti, con una Nota di Giovanni Raboni, peQuod, Ancona 2001, cui ha fatto seguito, per le stesse edizioni, Finestre di via Paradiso, Presentazione di Giampiero Neri, nel 2008. È del 2010 la plaquette Nove prose + quindici, Nota di Giampiero Neri, Colpo d’occhio, Rimini. Del 2006 e del 2011 sono invece le raccolte di scritti critici e interviste Sereni e dintorni, Joker, Novi Ligure, e Sereni e altri dintorni, Bohumil, Bologna. È di prossima pubblicazione, presso Interlinea, Riunione di famiglia (1982-2012). Ecco dunque le prime "finestre", che guardano a un testo di Vittorio Sereni, da "Stella variabile", e ad altri a lui dedicati. Grazie dell’attenzione. g. z.






Paura prima

Ogni angolo o vicolo ogni momento è buono
per il killer che muove alla mia volta
notte e giorno da anni.
Sparami sparami – gli dico
offrendomi alla mira
di fronte di fianco di spalle –
facciamola finita fammi fuori.
E nel dirlo mi avvedo
che a me solo sto parlando.
                                            Ma
non serve, non serve. Da solo
non ce la faccio a far giustizia di me.

Vittorio Sereni




A Vittorio Sereni

Come ci siamo allontanati.
Che cosa tetra e bella.
Una volta mi dicesti che ero un destino.
Ma siamo due destini.
Uno condanna l’altro.
Uno giustifica l’altro.
Ma chi sarà a condannare
o a giustificare
noi due?

Franco Fortini




A Vittorio Sereni dopo molti anni

Quando scendevi dalla collina sfiorita
di mezza estate alla pianura paziente –

arresa all’ordine dei coltivi alla
rotazione delle semine per il mio profitto –

tu ufficiale in licenza pago di salvare
nella tua cassetta metallica i tuoi fogli e libri

tuoi anche se scritti da altri nell’imbarco
imminente tu volto tutto al riscatto

dal privilegio altrimenti odioso dell’arte...

Forse già ti apparivo imboscato nella piccola giungla
del frutteto semiselvatico di medio agrario accucciato

nella tana ansiosa della sua proprietà
il «divino egoista» che tardi più tardi

nominasti a voce alta quasi piangendo
dinanzi a una platea distratta a me vergognoso e felice?

In volo da Roma a Parigi, novembre 1990

Attilio Bertolucci




A Vittorio Sereni

I

Le noci di Gemignaga dice Fortini che sono
di qualità altissima, e Bo che non somigliano ad altre.
È vero che non poche già da lontano si mostrano
insolite, è forse il colore, scuriccio, del guscio
rorido ancora d’autunno, o forse la luce
che accolgono. Non è facile schiacciarle con le mani.

II

Venendo in questo posto per me quasi
di vacanza in ogni giorno dell’anno,
estero sottomano che bastava
a colorarci stranamente l’ora,
ho visto, seduto su un carro
di fini tronchi grigi
un ragazzo: di schiena, viola stinto
il berretto, un ginocchio
alto piegato a spostarmi
l’occhio dal lago alla neve dei monti,
così lucente a tratti
che in corpo non pareva più vivo.

Giorgio Orelli



Rincorrendo Vittorio S. sulla strada di Zenna

I vecchi il fischio del treno
lontano in corsa nella pianura
lo credevano un segno di maltempo
se passava una nuvola sul sole
ecco, dicevano, s’annuvola il Signore.
Io questi brividi di abeti
prima che dalla valle venga il vento
io questo tremito di foglie
dico è un messaggio, qualcuno lo coglie.

Luciano Erba




All’amico

Mesi dopo tra la stupefazione
di chi nella pena un’insensatezza,
una pagina sciatta inopinatamente
(a meno che una Nefertiti) –

Ma il tempismo nella premonizione dei tempi.
A disdoro nostro e di una lordura
d’anni (svastiche di ritorno) che no
un vecchio fighter, o gentiluomo...

Ferruccio Benzoni




A Vittorio

Ho rispettato la quiete
del tuo studio. Erano là
a fissarmi i tuoi occhi.
Li vedevo assorti nel lavoro
ardere dietro un apparente
velo di tristezza... Dietro, era la gioia.
E i miei si chiusero. Non una
di queste cose mi seguì, nel breve
viaggio che feci verso le ombre,
non una, ma, ricordo, strane immagini
d’abbandono, e pensieri
importuni che venivano a riprendermi.
Dopo filtrò più luce, ed era ancora Milano, la tua stanza,
l’Italia che mai più grande e leggera
è di quando risale
a Lecco per le valli, e io mi dicevo:
si slargherà il suo cielo
su noi e sempre più lievi ombre saremo
al suo perpetuo schiarire.

Alessandro Parronchi