domenica 21 agosto 2011

Eugenio Montale "sulla poesia"

Non ci sono scorciatoie, né per la produzione né per l’appercezione dell’arte; non possono esistere né manuali né cattedre né corsi accelerati che permettano di apprendere ciò che si può imparare solo con la fatica di anni e col sussidio di una sicura vocazione.

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È lecito supporre che i libri di poesia siano acquistati dai poeti stessi, così numerosi da formare un pubblico.

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La poesia, sia o non sia impegnata nel senso richiesto dalla momentanea attualità, trova sempre la sua rispondenza. L’errore è di credere che la rispondenza debba essere fulminea, immediata. Al mondo c’è posto per Hölderlin e c’è posto per Brecht. Altro errore è credere che la rispondenza si misuri con criteri statistici. Chi ha più lettori vale di più, risponde meglio alla domanda del mercato. E così si torna alla poesia intesa come merce da vendere.

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I confini tra verso e prosa si sono molto ravvicinati: oggi il verso è spesso un’illusione ottica. In una certa misura lo è sempre stato; una impaginazione sbagliata può rovinare una poesia; i Fiumi di Ungaretti non sono comprensibili senza lo stillicidio verticale delle sillabe. Gran parte della poesia moderna può essere ascoltata solo da chi l’abbia veduta.

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E che dire della situazione del poeta nella società attuale? In genere non è una situazione allegra: c’è chi muore di fame, c’è chi vive alla meno peggio con altri mestieri, c’è chi va in esilio e c’è chi sparisce senza lasciar tracce. Dove sono andati Babel’ e Mandel’štam? Dove, se non verso il suicidio, Blok e Majakovskij? E dove, se non al manicomio, Dino Campana? (Mi limito ai moderni: l’elenco potrebbe essere assai più lungo.)
Ma questi sono casi, in ogni modo, gloriosi: sono l’onore della poesia moderna. Molti altri casi rendono comprensibile il discredito in cui è caduto il moderno animale poetico. E non è solo colpa della società: è in gran parte colpa dei poeti.



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da Sulla poesia, Mondadori, Milano 1976.