La solitudine di Schenk
Per fissare i rinvii della memoria
è utile il disegno di una mappa.
In quel territorio s’intrecciano tuttora
sentimenti e progetti. Più a Nord rispetto
ai due campi, è certo,
turchi, greci, spagnoli, italiani abitano
periferie chiassose dove le risse scoppiano
frequenti.
A Sud i due campi contigui sono separati
da una fitta rete di ferro.
Gli abitanti del campo a Nord,
per entrare in quello a Sud, devono possedere
un pass, il più delle volte non serve,
i volti infatti sono quasi sempre gli stessi.
Stagionali e avventizi sono rari
ma forse è la memoria che immobilizza
lo scenario.
Dieter sciancato, rifugiato dall’Est, parla inglese,
è convinto che la libertà assoluta non esiste
“…ma voglio essere libero di scegliere
le mie schiavitù, you see?”.
A est del campo, lasciando correre lo sguardo
lungo la pianura fino all’orizzonte,
tutto appare deserto, è non conosciuto.
Qualcuno potrebbe dire che qui
l’unica religione è il lavoro.
Sul permesso di lavoro, controfirmato da un
religioso, deve comparire la religione professata.
Con qualche insistenza si riesce infine a ottenere,
evitando il balzello, la scritta keine religion.
Tra versi petrarcheschi e ragazze Carla
le indicazioni non abbondavano,
tra erbe e rami fioriti e tic tac di macchina da scrivere
si poteva imboccare un sentiero poco noto,
forse una scorciatoia oppure il contrario.
A Ovest i bassi casamenti sono depositi
per ricambi di lenzuola, coperte
e qualche altro comfort. Non lesinano
nella distribuzione anzi invitano a una cadenza
settimanale, per non trascurare l’igiene.
La memoria ha fissato un tempo duraturo,
un inverno inoltrato, un principio d’estate, un sole a tratti,
un verdeggiare fresco e sul piazzale delle passioni
al cambio di turno l’incontro regolare con Schenk
- Wunderschön, ah?
- Wunderbar…
Alla cava vicina lo spettacolo è assicurato, corpi
al sole, trasparenze.
Dieter passeggia conversevole trascinando il suo piede,
indica due caccia americani che sfrecciano nel cielo,
ricorda la sua fuga nel bagagliaio.
Forse è per questo che frequenta il vicino aerodromo
per alianti. Quando è in alto e il suo apparecchio si sgancia
dice che urla per la libertà e la bellezza.
A leggergli versi in italiano si lascia cullare,
non capisce, gli piace la musica che faccio.
Sicuramente la memoria ha fissato da tempo
la mappa dei luoghi, degli incontri.
Bastava solo ridarle occasione,
questa storia, ma verrebbe da pensare ogni storia,
scritta era scritta da tempo,
bastava trascrivere il tutto come sotto dettatura.
Al cambio di turno nei pressi del cancello minore
la solitudine di Schenk si staglia ogni giorno,
non è tanto la sua notevole altezza, la magrezza
ma l’impronta dello sconfitto dalla vita.
-Tu studi la Storia, non ne caverai niente.
Da tremila anni è bloccata, è sempre la stessa.
Sarai solo anche tu.
Quando esce dal suo casamento nella rientranza
della sua finestra accomoda terra e acqua
nel piccolo vaso dove a volte
fiorisce un fiore rossastro.
L’entrata è dal Main Gate, situato a Est,
chiedono il pass solo la sera al rientro
da scorribande notturne nei quartieri a Nord,
veri e propri dormitori, attrezzati con qualche verde
e di presidi sanitari dove s’incontrano mogli
e madri turche, italiane, greche, spagnole
con i figlioli vocianti. L’intreccio delle lingue
le fa esplodere tutte in risate concilianti.
L’entrata nel campo è dal Main Gate dove
talvolta sostano due cani pastori tedeschi.
Si tratta solo di una coreografia di qualche
malizia, il conduttore dei cani chiede il saldo
di un debito dimenticato.
Schenk non commette errori, quando esce
punta diritto verso il sentiero in terra battuta
e lo segue. Non vigila su nulla e per l’habitat
non è possibile distrarsi per alcunché
- il verso è una misura d’uomo, non più in là
di tanto né meno, un equilibrio interiore.
Il suo passo sottile, come una lametta
incide il sentiero in silenzio
- a volte inseguo il pensiero e non trovo
la parola. Se qualcuno è vicino a te puoi
chiederla a lui, la prima che dice.