venerdì 28 ottobre 2011

Il nome di poeta





«Il nome di poeta appare sempre più una qualifica socialmente difficile da portare e da sostenere persino nel suo normale ambito letterario.»
Di Vittorio Sereni questo il titolo e l’avvio di una prosa, datata 1956.
Siamo nel 2010, e la sua affermazione è oggi «sempre più» condivisibile, mi sembra.
Dunque come risolvere la questione?
Posso sbagliarmi ma c’è poco da riflettere, le alternative possibili sono soltanto due.
1) Tale «qualifica» è «sempre più» inattuale, d’accordo, ma non si sa mai, prima di accantonarla definitivamente aspettiamo altri cinquant’anni; 2) Essendo ormai “fuori corso”, sarà opportuno quanto meno segnalarla, nei futuri vocabolari, quale termine arcaico o disusato.
Personalmente propendo per la seconda risoluzione, e lancio dunque la proposta di sostituirla con un’altra più accettabile e comprensibile da tutti, certamente più sobria, quella di scrittore e basta  (non “scrittore di poesie”, ché allora saremmo daccapo), lasciando invece la denominazione agli autori di canzonette.
Questa “nuova” qualifica ricondurrebbe al mestiere, con buona pace della poesia, libera finalmente di vagabondare e posarsi dove più le aggrada, come del resto è sempre stato e sempre sarà, in un dipinto come in un brano musicale, in un film come in una scultura, in una fotografia piuttosto che in un componimento in versi, in un romanzo, in una prosa...
Senza più la costrizione di un titolo per sua natura eternamente vacante, torneremmo forse a parlare della poesia tout court, compresa quella che si trova nei versi, quando vi s’impiglia, senza fare di tutti i versi un fascio...

g. z.


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Da Nove prose + quindici, con una Nota di Giampiero Neri, Colpo d’occhio, Rimini 2010.