La cultura del miele e della colla
I Meridiani Mondadori hanno dedicato un volume a Tutte le poesie e prose scelte di un grande del Novecento, lo spagnolo Antonio Machado, che nel suo Juan de Mairena, che io farei adottare come libro di testo da tutte le scuole superiori europee, dice: «La verità è la verità, la dica Agamennone o il suo porcaro. Agamennone: Sono d’accordo. Il porcaro: Non mi convince». Più vicino a noi, don Tonino Bello scrisse che se è importante confortare gli afflitti, dovrebbe essere oggi altrettanto importante «affliggere i confortati». Non erano concilianti, queste due belle persone, e non credevano nella cultura come panacea, come miele e colla che annullano le differenze. La cultura era per loro visione e conoscenza del mondo, scelta di campo, «battaglia delle idee».
Oggi va di moda il contrario, e fa scandalo ripetere quest’ovvietà. La cultura con cui dobbiamo quotidianamente confrontarci è una specie di tranquillante e di sonnifero, che ci distrae e ci aiuta a non pensare invece che a pensare, a dimenticarci invece che a trovarci; è un consumo indifferenziato che nelle intenzioni di chi lo propone e amministra deve servire a renderci inattivi invece che attivi. Le istituzioni della cultura e i suoi gestori si preoccupano del successo e del consenso, della superficie e dell’attualità invece che del radicamento, della lunga durata, della qualità e della possibilità di incidere in profondità nell’humus di una popolazione e di un’epoca. Se dunque la produzione di consenso avviene in buona parte attraverso il campo vasto e indeterminato della cultura, che si mescola tutta o quasi tutta allo spettacolo, e se, cosa non secondaria, una nuova economia tiene lontani i giovani dalla produzione spingendoli in massa – con l’alibi della creatività e le menzogne del facile successo – verso pratiche superficialmente culturali e artistiche, allora la cultura è davvero una pedina centrale, centralissima, che i politici possono giocare, è una base consistente per la loro gestione del potere. E già così è, a destra e a manca e da decenni, dentro un sistema mediatico tutto proteso alla distrazione, al rumore di fondo e all’effimero, dominato dalle mille forme della pubblicità e delle grandi agenzie finanziarie; e con più abilità intervengono nella «cultura» quei poteri che più possiedono e che più controllano.
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Da Zone grigie, Donzelli, Roma 2011.