lunedì 7 novembre 2011

Francesco De Sanctis





La poetica del Tasso è nelle sue basi essenziali conforme a quella di Dante. Lo scopo della poesia è per lui il «vero condito in molli versi», come era per Dante il «vero sotto favoloso e ornato parlare ascoso». Il concetto religioso è anche il medesimo, la lotta della passione con la ragione. Passione e ragione sono in Dante inferno e paradiso, e nel Tasso Dio e Lucifero, e i loro istrumenti in terra Armida e la celeste guida di Ubaldo e Carlo. L’intreccio è tutto fondato su questo antagonismo, divenuto il luogo comune de’ poeti italiani. L’Armida del Tasso è l’Angelica del Boiardo e dell’Ariosto, salvo che il Boiardo affoga il concetto nella immensità della sua tela, e l’Ariosto se ne ride saporitamente, dove il Tasso ne fa il centro del suo racconto. Questo, che i critici chiamavano un episodio, era il concetto sostanziale del poema. Omero canta l’ira di Achille, cioè canta non la ragione, ma la passione, nella quale si manifesta la vita energicamente. Le sue divinità sono esseri appassionati, Giove stesso non è la ragione, ma la necessità delle cose, il fato. Virgilio s’accosta al concetto cristiano, togliendo il pio Enea agli abbracciamenti di Didone. Pure, poeticamente ciò che desta il maggiore interesse non è il pio Enea, ma l’abbandonata Didone. Nella leggenda cristiana il paradiso perduto e il peccato di Adamo sono argomenti epici, ne’ quali erompe la vita nella violenza de’ suoi istinti e delle sue forze. Nella passione e morte di Cristo l’interesse poetico giunge al suo più alto effetto tragico, perché è il martirio della verità. In Dante questo concetto preso nella sua logica perfezione produce l’astrazione del paradiso e l’intrusione dell’allegoria, come nel Tasso produce l’astrazione del Goffredo. Si confondeva il vero poetico, che è nella rappresentazione  della vita, col vero teologico o filosofico, che è un’astrazione mentale o intellettuale della vita. L’Ariosto se la cava benissimo, perché canta la follia di Orlando, e quando viene la volta della ragione volge il fatto a una soluzione comica e piccante, mandando Astolfo a pescarla nel regno della luna. Il Tasso vuol restaurare il concetto nella sua serietà, e mirando a quella perfezione mentale, gli esce l’infelice costruzione del Goffredo e la fredda allegoria della donna celeste.
Non è meno errato il suo concetto della vita epica. Ciò che lo preoccupa, è la verità storica, il verisimile o il nesso logico, e una certa dignità uguale e sostenuta. E non vede che questo è l’esterno tessuto della vita, o il meccanismo, il semplice materiale con appena la sua ossatura e il suo ordine logico. Il suo occhio critico non va al di là, e quando il poeta morì e sopravvisse il critico, esagerando questi concetti astratti e superficiali, guastò miseramente il suo lavoro, e ci die’ nella Gerusalemme conquistata di quella ricca vita il solo scheletro, il quale, perché meglio congegnato e meccanizzato, gli parve cosa più perfetta.
Ma il Tasso, come Dante, era poeta, ed aveva una vera ispirazione. E la spontaneità del poeta supplì in gran parte agli artifici del critico.




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Dalla Storia della letteratura italiana.