Come e perché è nato Il Monte Analogo? Siamo partiti da una comunione d’intenti, anche se non tutti dichiarati, non tutti chiari. Si sa, solo facendo le cose si chiariscono gli obiettivi. Così è stato per la nascita di questa rivista di poesia oggi arrivata al numero tredici (il primo numero è del febbraio 2004). Siamo partiti insomma più di tutto da una voglia di fare. Sai che intorno a te ci sono decine di conoscenti e amici che amano leggere e scrivere poesia, sai che intorno a te in una circonferenza più vasta ci sono centinaia di scriventi: dopo scopri che sono migliaia. Sai che offrire una rivista cartacea di sessantaquattro pagine, mettendone a disposizione una trentina per quattordici, quindici poeti e poete a numero, cioè due pagine ciascuno, è un’offerta di accoglienza cui è difficile resistere. L'obiettivo più chiaro sin dall'inizio è stato questo: dare voce ai non noti, ai poco noti e ai trascurati. Giovani e meno giovani. Sin dall'inizio sai anche, e soprattutto, che devi garantire la validità, la serietà della selezione. E qui l’impresa svela la sua natura individuale e collettiva. A monte di tutta l’iniziativa c’è una base composita di una decina di poeti e poete che sono soliti incontrarsi da tempo per leggere e discutere di poesia: si tratta del ‘gruppo del venerdì’ di Milano oggi animato da Valeria Dal Bo e che ha come punti di riferimento l’opera scritta di Giampiero Neri e lui in persona. Il numero dei partecipanti all’impresa è poi salito in breve, ma lo spirito è rimasto quello (attualmente siamo all’incirca una ventina). Ciò potrebbe far pensare a un gruppo compatto, omogeneo quanto a modo di dire in versi e di valutarli. Ma non è così. Certo di versi orfici nel gruppo redazionale non ce ne sono, mi sembra di poterlo dire. Di versi misticheggianti nemmeno. Di ricerca del sublime non è che se ne senta il bisogno. Se mai si può rischiare un eccesso di realismo, di puntualità, di occasionalità narrativa. Però si battono sentieri nei quali il mistero della vita, della morte, della natura crea turbamento. Ma soprattutto ci si tiene stretti a una lezione abbastanza semplice e tuttavia difficile: il verso deve riuscire a darci un’emozione ma non può in essa risolversi, il verso deve avviarci verso una riflessione ma non può in essa risolversi. Buona dunque la lezione di Leopardi quando nello Zibaldone sostiene che oggi la poesia non può essere che sentimentale e filosofica. Su quel ‘sentimentale’, nei due secoli che ci separano da lui, ci siamo chiariti le idee. Abbiamo infatti torto il collo al sentimentalismo e alla ridondanza retorica, compresa quella delle passioni, da una parte. Ma abbiamo torto anche il collo al cerebralismo e alle fughe del significante dall’altra. Con questo non ci si illuda che la selezione di quindici fra autori e autrici avvenga con voto unanime: questo è un caso a dir poco raro. D’altra parte diciamolo, quando il poeta c’è davvero non è poi così difficile riconoscerlo (dice Neri: non occorre bere tutta la botte per capire se il vino è buono!), il fatto è che perlopiù nell’immaginario comune poesia fa ancora rima con la banalità dei sentimenti e l’estenuata osservazione dell’io. Per non parlare di coloro che chiedono alla poesia identità, autoterapia, illuminazione, ecc. La poesia può molto, non tutto. Buona la lezione di Leopardi: ‘la poesia aggiunge un filo alla tela brevissima della nostra vita’ (Zibaldone, pag. 4450, 1 febbraio 1829). Un mese dopo a dire il vero rincara un po’ le dosi: ‘togliere dal mondo civile la letteratura amena è come togliere dall’anno la primavera, dalla vita la gioventù’ (pag. 4469, 6 marzo 1829).
Paolo Rabissi
............................................................................................................................................................................................. L'intervento di Rabissi è stato da me sollecitato. g. z.
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