Quando conoscesti Vittorio Sereni?
Quando ancora frequentavo il Liceo, a metà degli anni Sessanta, mi fu dato l’incarico di fare un tema sull’Europa, perché scrivevo bene in italiano. Io citai Sereni: «Europa Europa…». In quei momenti esistevano i Beatles, il suicidio di Cesare Pavese, e poi per me la meteora atroce di Pier Paolo Pasolini. Quei versi di Sereni io li sentivo profondamente. Cominciai a conoscerlo da allora.
Poi siete diventati amici. Che uomo era?
Timido, intransigente, ossessionato, di nostalgie e rossori da liceale o ex commilitone. Ricorderò per sempre la sua inquietudine, la sua scontrosa affabilità. E i silenzi, quei silenzi!… I suoi «sentimenti di colpa» nei riguardi della storia. Voglio qui pubblicamente alludere al suo sodalizio con René Char, di cui è stato il maggior traduttore, il grande poeta soprannominato Capitaine Alexandre durante la resistenza francese. Ecc. ecc.
A proposito di Char e del Vaucluse: so che tu e Sereni ci siete stati insieme e, penso, i ricordi che conservi saranno molti. Puoi rivelarcene uno?
L’appuntamento era «sul finire dell’estate» (cito Sereni). Per tre anni consecutivi (’80, ’81, ’82) sul finire dell’estate si andava in Vaucluse. Era una specie di patto d’amicizia, di tacita intesa. In Vaucluse tramite Vittorio ho conosciuto Char, ma, quale ricordo? …ad esempio che a Gordes ravvisammo in una turista tedesca, anzi, Vittorio ravvisò, nientemeno che Greta Garbo; seduti a un caffè stemmo in silenzio per un’ora ad adorarla, e lui, di tanto in tanto, interrompendo il silenzio, parlava della Greta cinematografica e di come quella sua generazione di poeti ne fosse stata folgorata, ad esempio il suo coetaneo Attilio Bertolucci.
Sei stato anche in altri posti con Sereni? Vi vedevate di frequente?
Sì, e ho visitato insieme a lui alcune città mito della sua vita e della sua poesia. Luino dove è nato. Milano dove abitava. Bocca di Magra (vedi Un posto di vacanza) tuttora abitata da Franco Fortini e un tempo da Elio Vittorini e, come si diceva prima, la Valchiusa, che egli aveva interiorizzato con felicità, Char o non Char. Perché Sereni era una persona fedele (la sua poesia lo rispecchia) ai luoghi e ai nomi. Non sono mai stato con lui in Egitto, altro luogo deputato, altro tòpos della sua vita e della sua poetica.
È nota la passione di Sereni per il football. Ne parlavate mai?
Sì, molto spesso. Era anche un modo per (al di là delle sue ritrosie) liberarci dai nostri lunghi silenzi. Tifava spudoratamente Inter e, guarda caso, abitava in via Paravia (quartiere San Siro) che è a pochi passi dallo stadio. Insieme abbiamo assistito ad alcune partite. Era un tifoso non per snob (troppi letterati ciarlano di calcio), ma passionale, enfatico, estremamente fazioso. Il suo amore per il calcio mutuato anche da quelle partite improvvisate tra prigionieri durante il periodo di prigionia. Ripenso Gli immediati dintorni.
Ungaretti, Saba, Montale, Bertolucci, Char, Seferis, per dire solo alcune delle personalità ricordate da Sereni nei suoi scritti. Ne parlava mai?
Mi ha parlato di tutti i poeti che tu mi hai citato; anche di altri. Ma in modo, come dire?, guardingo. Una eccezione per tutte: Saba. Parlando di Saba e di aneddoti della vita di Saba quasi si commuoveva, ne parlava insieme con ilarità e struggimento. Sono certo che l’ha amato molto.
Cosa pensava della sua poesia? E della tua?
Della sua poesia parlava di rado. Non tanto per quel «silenzio creativo» di cui hanno discorso i critici. Quel «silenzio creativo» altro non era che la pagina bianca sospesa tra ineffabilità e desiderio di perfezione. Quel silenzio per me corrisponde (alludo a una sua poesia) al colpo micidiale del figther che combattendo riesce a mettere k.o. un ostacolo, un avversario e/o avversità. Di me pensava, e della mia poesia, a un Saba, ma non a quello di Parole e Ultime cose; piuttosto al Saba di Trieste e una donna. In una lettera mi accostò anche, «per quanto diversissimi tra loro», a un Gatto e a un Pasolini.
A quale poeta ti senti più vicino?
Credo, per esempio, a Camillo Sbarbaro. Semmai lui preferiva la tempera e io la spatola, per immediate accensioni.
Fortini, nella presentazione a Notizie dalla solitudine, parla per te di un linguaggio e uno stile «disseminato di citazioni cancellate ma leggibili ancora». È solo un fatto letterario? Non si può parlare anche di una matrice sentimentale?
È una bella domanda. Io penso che letterariamente abbia ragione Fortini, perché come poeta mi sento di appartenere alla tradizione dei «maestri in ombra» (Sbarbaro, appunto) e, per dirla con Pasolini: «Io sono una forza del Passato...». Però c’è anche il momento sentimentale. Esiste una geografia interiore di nomi e di luoghi che vanno vengono ritornano come la marea nella risacca. Aisha, Ilse, la cagnetta Orazio, un tailleur azzurro che è irrimediabilmente mia madre; due stanghette in similoro che sono irreparabilmente mio padre; Sereni quando dico «È sepolto là sul lago l’amico.» …Luoghi, fedeltà, mappe e appuntamenti. Quindi hai perfettamente ragione se alludi a citazioni sentimentali, che posso pure dissimulare, camuffare, ma non posso non estorcere dalle mie verità segrete.
Credi che la parola ispirazione abbia ancora un valore?
È una domanda maliziosa. Ebbene, ancorché desueta, probabilmente la cosiddetta ispirazione esiste. Certo varia da poeta a poeta. Ma forse che oggi non esistono i bioritmi, valutando le prestazioni di un calciatore con il gel sui capelli che proprio non ci azzecca? Probabilmente esistono poesie più vive nel senso che in sé contengono altre poesie, o riuscitissime poesie nate morte, splendide e sterili allo stesso tempo.
A mio avviso la tua poesia presenta zone oscure, zone che il lettore può riempire o meno…
Non credo. Credo invece che la mia poesia implichi una complicità, una familiarità, una dimestichezza. Sto pensando a una Autobiologia (cito Giudici) probabilmente più spudorata e accorata.
Da diversi anni sei considerato uno dei poeti più significativi che abbiamo. Fortuna critica?
Fortuna critica; non tanto editoriale. Esistono dei poeti (miei coetanei) che pubblicano un libro ogni due anni, che si stroncano e recensiscono a vicenda. Non so come ci riescano. Io ho avuto dei lettori-critici come Orelli Raboni Porta Fortini Mengaldo Sereni e – ero più giovane – il nostro amico Renato Turci, Gatto e Pasolini. Lettori, come vedi, che possono avermi insegnato l’intransigente pazienza della poesia.
Se ti facessi una domanda sulla morte?
La morte è un po’, come dire?, una sorellastra di chi scrive. Gatto ha scritto «il vino dei poeti», ma a questo punto, non credi, potremmo stappare un’altra bottiglia…
Certo, ma non ho più domande. Vuoi formulartene una tu?
La donna che amo. Come vedi è qui al nostro tavolo. Non so per quanto, né per quale sortilegio.
Cesenatico, giugno 1990
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L’intervista a Benzoni apparve dapprima su “libere carte”, n. 1, luglio 1990, numero interamente dedicato a Vittorio Sereni, poi è confluita in Sereni e dintorni, Joker, Novi Ligure 2006.
g. z.