sabato 1 marzo 2014

Due poesie di Dora Pfanova




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Se un Dio esiste, o Dio della mia gioventù,
salvami dagli uomini, non temo le loro
stranezze, ma inorridisco
della loro importanza.

Salvami, o Dio della mia gioventù,
lo sguardo per vedere tutto mi hai donato
non me l’hai dato invano.





Fantasticheria



Sussurrami.
        Il sussurro è un dolce quietarsi. Stemprati dolore, sei stanco, adagiati                   
come un leone selvaggio mentre scende la notte sul deserto.
        Sussurrami, improbabile sorge la luna, enorme come un monito. Fluisce l’aria
fredda, stormisce attraverso il cielo oscuro: si tratta di ieri o di oggi?
        Forse a frusciare è il domani.
Il domani, questo sconosciuto.
        Sussurrami, non esiste nulla eccetto l’amore. E ora è l’unico.
Ora, questo è l’istante in cui chiniamo il capo e ascoltiamo l’attimo. Il passato e il
futuro sono illusioni. Ho paura. Sussurrami.
         Stormisce nella ramaglia. Dio c’è ancora da qualche parte, ma gli uomini mi
hanno separato da lui. Non lo trovo in città.
Sussurrami, perché l’amore resista e tu sia il suo pellegrino.




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Traduzione dal croato di Dubravko Pušek.  

sabato 1 febbraio 2014

In memoria di Fernando Bandini





 Latte che trabocca


Che cose della vita porterei
se potessi con me nel mio ultimo viaggio
per salvarle da un calcinante oblio?

Rinchiuderei dentro un’ampolla il raggio
di un tramonto che ho visto a Malamocco
da un battello deserto mentre seguendo i venti
d’autunno i cormorani ci dicevano addio.

E assieme a quelle fioche
gocce d’oro del mondo raccolte da un oblò
io porterei con me
qualche odore:
                            l’aroma
di foglie scompigliate e frante quando
il corpo tra di esse s’apre un varco
pensandosi immortale,
e là, dietro le piante, c’è l’imbarco
di Caronte che attende;
ma il cuore non si arrende, ascolta le cicale
della sua brama e ingenti sogni stanzia
per l’alloro (che tocca
solo a pochi poeti), per l’amoroso mirto.
Ma soprattutto porterei con me
un odore scomparso dell’infanzia:
l’odore un po’ strinato del latte che trabocca
sopra un fornello a spirito.



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Da Meridiano di Greenwich, Garzanti, Milano 1998. 

mercoledì 1 gennaio 2014

Giampiero Neri




Milano, 27.12.13

Caro Gabriele,
il testo qui sotto è nel cassetto con altri in attesa di formare un libro e non ha fretta di essere pubblicato. Per me va bene qualunque data.
Un caro saluto 
Giampiero








Della zanzara


L’arrivo di una nuova impiegata, una signora sulla quarantina, aveva dato una scossa alla normale tranquillità dell’ufficio.

   La reazione suscitata doveva presto dare adito alle considerazioni più amare, visto che in un crescendo di complimenti, giudizi ammirativi e altro, la signora si era guadagnata i posti più ambiti, fino a diventare segretaria del direttore, con i poteri che ne derivavano.

   Tutto questo a dispetto del fatto che si trattava pur sempre dell’ultima venuta.

 Personalmente, pensai di avvicinarla al momento del caffè che si prendeva d’abitudine ogni mattina presso l’apposita macchina. Quella mattina infatti lei era dietro di me, regolarmente in coda.
   
 “Finalmente ho capito perché la zanzara fa zzzzzz…” dissi.  

   Dopo un po’ la signora disse a sua volta: “Avanti! Perché la zanzara fa zzzzzz… ?”

   L’argomento era di viva attualità, dato l’assalto delle zanzare che si verificava ogni notte.

   Avrei voluto anch’io dare una risposta precisa, esauriente, con pochi tratti incisivi a questo problema tanto pungente ma, come dice il poeta Nanni Balestrini, “di questo, altra volta”.


sabato 14 dicembre 2013

In memoria di Giorgio Orelli




Questo 2013 per gli amanti della poesia si chiude con una notizia assai triste: la morte di Giorgio Orelli, lo scorso novembre.
Anche se Giorgio continuerà a vivere nelle sue poesie, né sarà possibile dimenticare il suo magistero, la scomparsa dell’amico ticinese lascia nel mio cuore un vuoto terribile.
Così, caro Giorgio,  se “non c’è mai / alcun verso che basti”, allora questa volta ti saluto "di lontano" con una fotografia, settembre 2006, che ci scattò tua moglie, ricordi?






domenica 1 dicembre 2013

Elio Tavilla




questo: bosco discavato che dissemina radici
di querula uvaspina, la dinamica furente delle aspre
contese dell’inverno: questo: non essere
presente, alla fine, punto
a capo

ma infine qui è il nero dominante
il tuttobianco, tuttonero nullasembiante
torna l’ostrica d’infanzia, schiude bella
l’apparenza del rossore sulle guance
e – dico –

                     che faceva nel settore dei ragazzi
la speranza
                     listata a lutto?




***




è terreno di caccia, con l’udito stanavi
gli animali, una propensione all’auto-
distruzione nei minimi dettagli, ma

erano piccoli di lontra o cosa? che aggiravano
l’ostacolo chiodato delle gabbie, la vita
che vedevano fuggire
                                               risaliva
al destino primitivo nelle tane acquatiche
ti voglio          raccontare




…………………………………………………………………………………………………………………..Inediti.

venerdì 1 novembre 2013

Ferruccio Benzoni





Giovanna

Vaga in un mare non ancora
alla vita, slontanandosi, s’agitava d’un niente
s’assottigliava
sbracciandosi, finché in pieno giorno non ci vedemmo più.



Notizie dalla solitudine

Dove ti tenevo sui ginocchi
e appena fuori ti perdevi
nel doppio giro del mio mantello,
peggio dei topi i libri l’ira
dei deportati hanno flagellato.




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Da Notizie dalla solitudine, Presentazione di Franco Fortini, S. Marco dei Giustiniani, Genova 1986.

mercoledì 2 ottobre 2013

Philippe Jaccottet





 Via Appia


È vero che G. ed io mancavamo di serietà; il conte Giacinto, il compositore, se la prese soprattutto con me, vedendoci ridere per una nuova follia che ci passava per la testa, e disse gravemente: «Lei mi sembra assai poco sensibile alla bellezza di questi luoghi. Goethe, passando come lei per la prima volta sulla Via Appia, aveva esclamato: “È qui che io sono nato!” e lei, lei scherza!». Mi sentii profondamente imbarazzato: evidentemente, ero inferiore al mio compito, orribilmente frivolo. Goethe … Senza dubbio anch’io, come lui, avrei dovuto appoggiarmi alla tomba di Cecilia Metella (la stessa che secondo il conte doveva assolutamente essere il sepolcro degli Scipioni) e sentire in me, se non proprio una nuova nascita, per lo meno qualche grande sommovimento. Dopo tutto, la colpa era di G., incapace di rispettare il momento sublime; e di quell’autista, anche, il quale, certo che saremmo stati assaliti dai vagabondi, seguiva a breve distanza, con tutti i fari accesi, turbando la magia della notte. E tuttavia, al fondo di me stesso, mentre avanzavamo tranquillamente tra i pini e le pietre antiche, davo vagamente ragione al conte. Sarebbe stato necessario essere soli e camminare in silenzio, accordando il passo al ritmo straordinariamente pacifico e solenne della campagna dove galleggiava, in fondo all’ombra pressoché chiara, la leggerezza bluastra delle colline. Sarebbe stato necessario arrestarsi in solitudine davanti a quella minuscola signora in piedi nel folto dell’erba, muta, e che tiene timidamente la mano sul cuore, da quel tempo consolare in cui per l’ultima volta portò la mano al suo cuore palpitante, riconducendovi a riparo le pieghe del velo, fino a che la morte la tramutasse in statua e il tempo la sprofondasse impercettibilmente nell’erba, dove non smette di passare il vento di Roma.




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Questa prosa, tratta dall’ormai irreperibile Libretto (traduzione di Fabio Pusterla, Scheiwiller, Milano 1995), è recentemente riapparsa in un prezioso volumetto dedicato al poeta: Philippe Jaccottet, La poesia, le figure, il paesaggio, a cura di Fabio Pusterla, con testi di Antonella Anedda, Franco Buffoni, Massimo Raffaeli, Francesco Scarabicchi, acquarelli e disegni di Anne-Marie Jaccottet (Casa Croci Mendrisio 2013).