mercoledì 13 agosto 2025

Jean Robaey


Anche senza Cesena… 

     Anche senza Cesena Gabriele Zani rimane il poeta che era e che rimarrà, anche senza la sua città natale (che d’altronde, come spiega qui nella prosa Case, non conosceva da piccolo e soprattutto non riconosceva come sua). Città per me invece mitica: fu la città di Renato Serra, critico-scrittore ossia scrittore nel momento in cui faceva il critico. Vicino a Cesena abitava Ferruccio Benzoni, mentore e finissimo lettore di Zani; un altro fu il milanese Neri, ricordato in questa breve silloge (in una poesia, A Giampiero (Neri), che ricorda la confessione “Si fanno versi per scrollare un peso” di Sereni). Proprio Neri, mi ha confidato Gabriele, era preoccupato per questa partenza dall’Italia per le Canarie. Preoccupato ero anch’io, o meglio quasi offeso, abbandonato e tradito: in qualche modo Gabriele rappresentava per me e rappresenta tuttora la lingua poetica italiana quasi a livello puro, di un poeta cioè che scrive al di fuori di ogni critica se non di ogni poesia ufficiale. Il suo rapporto è, intensissimo, con alcuni poeti che predilige: Sereni, Benzoni, Neri, Orelli e pochi altri. 
     L’occhio non è cambiato, che sa cogliere minimi particolari per farne segni di vita superiori alla stessa nostra vita: “Uno sbocciare di fanciulle / che corrono giulive / fanno del lungomare tra le palme / il francobollo sulla cartolina” (Francobollo). Notevole il modo in cui il poeta riesce a riesumare il passato per entrare nel cuore, anche mitico, dell’isola e dei suoi abitanti: si vedano Tenerife, la poesia che dà il titolo alla raccolta (“Leggenda narra che non sei tu a eleggere Tenerife…”) e Dei Guanci, il cui titolo si espande (secondo una rispettabile tradizione) nel verso immediatamente successivo: “si conservano disegni, utensili, ossa”. Fino al gioco semiserio di Duolingo: “Ya soy mayor, así que por fin puedo divertirme”. 
     Sì, l’occhio è ancora quello: “con qualche commovente ricordo in più”… 

                                                                                                                                 Jean Robaey

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Conosco Jean Robaey... 

Conosco Jean Robaey grazie a una felice intuizione, e poi per intercessione del mio primo mentore Renato Turci, che da Cesena curava l’importante rivista semestrale “Il lettore di provincia”. Fu Turci a chiedere a Robaey la cortesia di introdurre alcune poesie di un giovane poeta di sua conoscenza sulla rivista. Chi avesse voglia e tempo di cercarlo, il tutto apparve appunto ne “Il lettore di provincia”, XXII, n.80, aprile 1991. Da allora in poi, ogni mia cosa, prima di essere pubblicata, è stata letta, riletta, approvata o meno da Robaey, ai cui pareri e consigli non ho più smesso di affidarmi. Tra l’altro è suo, in larga parte, il merito dell’assemblaggio della mia auto-antologia Riunione di famiglia (1982-2012). 

Per parlare dettagliatamente di Robaey e delle sue opere dovrei ricorrere a un lunghissimo articolo. Qui mi limiterò a ricordare che è nato in Belgio, a Charleroi, nel 1950. Che all’età di diciannove anni decise, grazie ad una borsa di studio, di trasferirsi in Italia, prima a Bologna, dove si laureò in Lettere Classiche con una tesi su Virgilio nel 1977, poi a Modena, dove tuttora risiede. Che è stato Professore di Letteratura francese in diversi Atenei. Che ha tradotto autori dal nederlandese, francese, inglese, sanscrito. Che è un critico, un saggista, un prosatore, e infine, e prima di tutto, che è il poeta degli innumerevoli versi de l’epica (sconosciuti ai più e candidamente ignorati, per lo più, da chi avrebbe il compito di farli conoscere), da cui tomi che probabilmente resteranno negli annali come un’impresa eroica, in ogni senso davvero “epica”. Potrei continuare, come detto poc’anzi, ma insomma, per quanto interessa qui, Robaey è un lettore dallo sguardo di lince e dall’orecchio finissimo, con una idea altissima della letteratura, quasi mistica, intesa come totalmente al di fuori di ogni commercio e dispute da salotti letterari. 

Bene. Sta per uscire a Tenerife, che frequento dal 2019 e in cui risiedo stabilmente dal 2021, Lettere da Tenerife / Cartas de Tenerife, una silloge di poesie e prose in doppia versione italiana / spagnola. Il 9 agosto, insieme al file contenente le ultime osservazioni e segnalazioni riguardanti la silloge, ricevetti da Robaey un secondo file, accompagnato dalla breve missiva che qui riporto: “caro gabriele, ti mando due allegati (il secondo è un testo che la tua raccolta mi ha ispirato: l’ho scritto per te). la raccolta è bella, ho dei dubbi, come leggerai, su due testi. grazie per avermela mandata in anteprima. stammi bene”. Il testo in questione è quello che qui si può leggere, ringraziando Jean per avermi permesso di pubblicarlo. 

Si tratta di una silloge che stamperò a mie spese, fuori commercio, in pochi esemplari destinati ad amici e conoscenti, e il lettore si troverà piuttosto spaesato leggendo il testo squisitamente confidenziale dell’amico, ma tant’è, per adesso gli basti il pensiero.
                                                                                                                                                
                                                                                                                                                  g.z.