sabato 1 dicembre 2012

Marco Ferri








Fano


 A vederla così, c’è chi si innamora e chi si arrabbia e perde la pazienza. Parlo di Fano, la cittadina non tanto descritta quanto immaginata da Fabio Tombari negli anni Venti del secolo scorso. Sembra incredibile che l’allegria e la poesia delle Cronache di Frusaglia nascano dallo stesso corpo sociale di Maria Risorta, romanzo marinaresco di Giulio Grimaldi, del 1908. Una ventina d’anni e la pietas di Grimaldi viene aggiornata dallo strapaese futurista di Tombari. Impensabile. La cittadina è sempre quella e Tombari è tutto tranne che un realista eppure nei frusagliani e nei ghiottoni i fanesi si sono riconosciuti più che nelle documentate antropologie di Grimaldi. Ancora: quella di Fabio Tombari è una location immaginaria eppure tutti i fanesi (e limitrofi) vi avvertono una sintonia segreta, vorrebbero recitare lì dentro. Ma adesso? Adesso c’è un agglomerato di poco più di 62.000 persone che premono ogni giorno con le automobili dentro le antiche cinte murarie romane e medievali, impiegando più tempo a trovare un parcheggio di quello di una sana camminata da qualsiasi punto periferico verso il cosiddetto centro. Però, per la verità e anche azzarderei per puro miracolo, c’è ogni tanto qualcuno che si inventa qualcosa di incredibile.
Ti faccio un esempio: si portano gli spettacoli della Scala nella Corte Malatestiana, si restaurano monumenti abbandonati come il Teatro del Poletti, la Rocca, il Bastione Sangallo, le chiese, Lamedica ridisegna la spiaggia di Sassonia e nello spirito del Concilio, come dialogo tra religioni, progetta il cimitero dell’ulivo, si costruiscono mediateche all’avanguardia, c’è Dario Fo che immette nuova linfa nelle vene atrofizzate del Carnevalone e c’è Battiato che dirige qualche stagione di grande musica. In questi periodi, la città ricomincia a piacerti, e ci sono anche i marciapiedi per percorrerla, perché finalmente qualcuno ha pensato a chi cammina, e d’estate Adriano Pedini ti porta il Jazz internazionale, insomma pensi di avere esagerato nei panni del piantagrane che trova sempre da ridire, e ti viene quasi da piangere quando vedi risvegliarsi queste energie buone della città, e trovi angoli deliziosi tra le strette vie del suo vecchio cuore urbanistico, e resti ammaliato dalla città verde, dai viali alberati pieni di fronde in primavera, vai all’avventura nelle bore invernali che flagellano le rive, oppure ti addormenti sognando nelle sabbie del piccolo arco di spiaggia che va dal porto al molo del canale. Sempre, dietro le spalle, avverti il respiro delle vallate portato dal Metauro, giù dalle gole del Furlo fino all’Adriatico. Qualcuno su nel Montefeltro aveva pensato alla città ideale, forse aveva negli occhi la sensualità delle colline e la Basilica di Vitruvio, ti viene da pensare. Eh sì, c’è sempre questa ingenua facilità di illudersi, tra fantasmi letterari e l’invenzione di spazi veri dove stare insieme, conversare, architettare burle, sognare e litigare. Ma ecco che succede l’impensabile. Diamone una versione fiabesca, come nei film di Walt Disney, quando si risvegliano le forze oscure e telluriche, qui un po’ più sul grigio sordo che sul nero e più che telluriche balzane. La location diventa semplice localismo. E che sfiga, poi c’è anche la Crisi. E così passano anni e anni. Adesso cammina e prova a seguire la tua guida intima. Non c’è neanche il fascino delle rovine. C’è il centro storico devastato dalle automobili, ci sono le strade piene di buche, i giardini dimenticati, e al posto delle idee felici c’è della gente in costume romano che assiste alla corsa delle bighe mentre nei cieli le Frecce Tricolori mandano in fumi policromi i risparmi delle persone travestite da antichi romani, che applaudono pure.  Ormai sono anni che i cittadini vengono intimoriti da programmi di asfaltature delle strade che fortunatamente non vengono realizzate, lasciando così che il nome corrisponda alle cose: la città della fortuna (da Fanum Fortunae). Se hai la fortuna di evitare le buche e i fessi.


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Inedito.