venerdì 9 dicembre 2011

Robert Louis Stevenson




La moralità della professione delle lettere

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   Ci sono solo due ragioni che devono guidare le scelte importanti della vita: la prima è una predisposizione innata in chi compie la scelta; la seconda, che l’attività scelta sia di qualche utilità. La letteratura, come qualsiasi altra arte, ha un interesse particolare per l’artista che la pratica ed è, in un grado peculiare rispetto alle altre arti, utile al genere umano. Queste giustificazioni sono sufficienti per qualsiasi giovane uomo o donna che voglia farne la propria occupazione. Quanto ai guadagni, non ho molto da dire. È possibile mantenersi con la scrittura. Forse non con lo stesso agio consentito da altre attività, però è possibile. Ma è la natura del lavoro al quale un uomo dedica tutta la sua giornata a determinare il suo grado di felicità, più che la qualità della cena che lo attende la sera. Qualunque sia il vostro mestiere, e qualunque sia la somma che vi fa incassare alla fine dell’anno, guadagnereste molto di più, lo sapete anche voi, truffando il prossimo. Siamo tutti troppo inclini ad angustiarci per le ristrettezze finanziarie, ma riflessioni di questo genere non dovrebbero essere determinanti nella scelta dell’attività che occupa e dà significato a una porzione tanto rilevante della nostra vita; come il missionario, il patriota, o il filosofo, dovremmo tutti scegliere quella carriera nella quale siamo in grado di dare il massimo e il meglio per l’umanità, anche se ci richiede sacrifici economici e coraggio. Ora, la Natura, se la si segue fedelmente, si dimostra una madre premurosa. Un giovane, incantato dal suono delle parole, si dedica alle lettere per la vita; col tempo, quando diventa più assennato, si rende conto di aver fatto una scelta migliore di quanto credesse, capisce che se anche guadagna poco, quel che guadagna è più che sufficiente; che se riceve un salario modesto, è però nella posizione di rendere un servizio considerevole; che è in suo potere, seppur in piccola misura, proteggere gli oppressi e difendere la verità. Perché il mondo è predisposto nel modo più favorevole, il profitto che l’uomo può ricavare dalla certezza di poter fare affidamento su di sé è enorme e la professione della scrittura è guidata dalla stella più propizia, al punto che uno scrittore riesce a combinare piacere e profitto, a essere contemporaneamente gradevole, come il suono del violino, e utile, come un buon sermone.
   Questo per quel che riguarda la letteratura al suo massimo livello e con i quattro grandi ai quali continuiamo a rivolgere il nostro rispetto e la nostra ammirazione, con Carlyle, Ruskin, Browning e Tennyson come modello, sarebbe un atto di codardia discutere di letteratura partendo da aspetti meno dignitosi. Ma anche se non siamo in grado di tenere il passo di questi atleti, anche se nessuno di noi, probabilmente, riesce a essere così vigoroso, così originale, così saggio, continuo comunque a pensare che persino nella più umile delle attività letterarie abbiamo il potere di arrecare un grave danno o di fare realmente del bene. Abbiamo la possibilità di provare solamente a dare piacere al lettore, possiamo, in mancanza di altri talenti, provare semplicemente a gratificare la curiosità oziosa ed effimera dei nostri contemporanei, oppure possiamo provare, anche coi nostri poveri mezzi, a insegnare qualcosa. In tutti questi casi avremo a che fare con quella straordinaria arte delle parole che, costituendo il dialetto dell’umanità, trova la via nella mente degli uomini con facilità e forza straordinarie e per questo, qualunque sia il nostro ramo della letteratura, siamo nella posizione di contribuire alla formazione di quell’insieme di convinzioni e giudizi che va sotto il nome di Opinione Pubblica o Sentire Comune. Quello che una nazione legge, in quest’era di pubblicazioni quotidiane, influisce sensibilmente sul modo in cui essa si esprime e la capacità di espressione e di lettura, messe insieme, costituiscono lo strumento principale per istruire le giovani generazioni.
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   Ecco qui, allora, un lavoro degno di essere fatto e di essere fatto nel miglior modo possibile. Perciò, se mi proponessi di dare il benvenuto a ogni valido ingresso nella nostra professione, lo farei non pensando alle possibilità di guadagno, ma perché si tratta di una professione sommamente vantaggiosa e nel senso più nobile del termine; una professione che ogni praticante onesto renderebbe più utile all’umanità con il proprio singolo contributo; una professione che è difficile svolgere bene ed è possibile migliorare di anno in anno; una professione che richiede considerazioni scrupolose da parte di tutti coloro che la esercitano e dunque diventa un cammino di formazione continua per quelle nature nobili; una professione che, non importa quanto venga pagata, nella maggior parte dei casi non sarà mai pagata abbastanza. Perché di certo, a questo punto del diciannovesimo secolo, non c’è niente che un uomo onesto dovrebbe temere di più che ricevere e spendere più di quanto si meriti.




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Da L’arte della scrittura, Mattioli 1885, Fidenza 2009. Traduzione di Francesca Frigerio.