Nella scia di Vecchi scemi che presentava tredici “racconti”, è appena uscito, ancora per le edizioni peQuod, Le cose non sono più come prima, che stavolta ne propone ventuno. Benché tra l’una e l’altra opera siano trascorsi otto anni, sembra un giorno, i due libri si somigliano come fratelli siamesi. Il fatto è che Ferri, che ha pubblicato il suo primo vero libro, di poesie, Prove e variazioni, a trentacinque anni, ha una bibliografia che si legge in un minuto tanto è scarna e cadenzata, e che insomma, d’abitudine pubblica poco, e/ma sempre a colpo sicuro, come sanno i suoi affezionati lettori.
Perciò francamente non si può dire quale dei due libri sia riuscito meglio, nel senso che c’è una continuità profonda tra i due, ossia non di mera superficie, dunque non tanto perché a p. 29 del secondo ricompaiono, per esempio, gli altri vecchi scemi del primo, e neppure in ragione della scrittura fresca, senza orpelli, quasi parlata che contraddistingue Ferri e che quindi, ormai, non è più una novità. Una fedeltà profonda, ripeto, interna ai testi, di gusti, idee, sentimenti, nel solco scavato da una resilienza (resistenza, si sarebbe detto anni fa) ai tempi che mutano, in bene o in peggio, che ci piaccia o meno, come dichiara senza alcuna enfasi il didascalico titolo, Le cose non sono più come prima.
E se insisto a mettere tra virgolette il termine “racconti” (così vengono chiamati, ma appunto senza virgolette, nei risvolti anonimi di copertina di entrambi i libri) è perché, come già notai a suo tempo per Vecchi scemi, il termine “racconti” mi pare una definizione di comodo, utile certo a catalogare i testi, a etichettarli in qualche modo, ma a me non sembrano racconti in senso stretto, come se ne scrivevano e leggevano fino ai primi del Novecento, sicché preferisco definirli scritti, opere, testi, termini certo generici ma anche, ritengo, meno fuorvianti.
C’è tutto Marco Ferri in questi testi, il poeta, l’intellettuale, l’ex bibliotecario, l’uomo con le sue sofferte verità. Nonostante l’autore si guardi bene dal riferirsi direttamente a sé stesso, sono i suoi personaggi che qua e là ce lo ricordano, di volta in volta trasognati o meditabondi, monologanti o svagati, o intenti a barcamenarsi in autoanalisi. Tuttavia l’immedesimazione di Ferri nei suoi personaggi è tale che anche i lettori vi si potranno riconoscere, perché comunque hanno in dono una vita propria e si rivolgono ad ognuno di noi, alla coscienza di ognuno di noi. Non a caso uno dei testi, richiamando ironicamente Pirandello, si intitola L’autore in cerca del personaggio.
Sono personaggi per lo più simpatici o, forse meglio, “persone” simpatiche, quelle tirate in ballo da Ferri, spesso soggetti perduti e perdenti, sconfitti dal passato come dal presente, e per giunta senza un futuro in cui credere. Talvolta fanno sorridere, non proprio ridere a pensarci un po’, come i Bouvard e Pecuchet di Flaubert, citati da Marco a p. 157. Qui di seguito, in chiusura, un paio di excerpta.
g.z.