giovedì 7 marzo 2013

Paul Celan





Lettera a Hans Bender


 Caro Hans Bender,
   La ringrazio per la Sua lettera del 15 maggio e per l’amichevole invito a collaborare alla Sua antologia Il mio poema è il mio coltello.
   Ricordo di averLe detto a suo tempo che il poeta, non appena il poema sia realmente compiuto, viene di nuovo esentato dalla sua iniziale complicità. Oggi cercherei di formulare in altro modo questo convincimento, ovvero di differenziarlo; ma in sostanza continuo sempre ad avere questa – vecchia – opinione. Certo, esiste anche quello che oggi tanto volentieri e sbrigativamente si designa come artigianato. Senonché – mi permetta codesta abbreviazione del mio pensiero e della mia esperienza – l’artigianato, come in genere la pulizia nel mestiere, è presupposto di qualsiasi poesia. Questo artigianato certissimamente non sta su un terreno d’oro[1] – e chissà poi se ha un qualunque terreno. Esso ha i suoi baratri e le sue profondità – più d’uno (ahimè, io non sono tra questi) ha perfino un nome per tutto ciò.
   Un manufatto – è questione di mani. E quelle mani poi appartengono soltanto a un uomo, cioè a un’unica mortale creatura, la quale con la voce e con il suo silenzio cerca di aprirsi una strada.
   Solo mani veraci scrivono poesie veraci. Io non vedo nessuna differenza di principio tra una stretta di mano e un poema.
   E non ci si venga adesso a parlare di «poiein» e cose simili. Ciò aveva, con tutte le sue attinenze vicine e lontane, tutt’altro significato che nel contesto attuale.
   Certo, esistono modi per esercitarsi – in senso spirituale, caro Hans Bender! E a margine, a ogni angolo di strada della lirica, c’è questo andar sperimentando con il cosiddetto materiale verbale. Le poesie, sono altresì dei doni – doni per chi sta all’erta. Doni che implicano destino.
    «Come si fanno le poesie?»
   Per qualche tempo, anni addietro, io ho potuto vedere e più tardi osservare attentamente da una certa distanza come il «fare» diventi, prima, fattura, e un po’ alla volta fattucchiera. Già, esiste anche questo, Lei forse lo sa. – Non succede per caso.
   Viviamo sotto cieli oscuri, e – di uomini ce n’è pochi. Proprio per questo ci sono anche così poche poesie. Le speranze che ho ancora non sono grandi; cerco di tenermi in serbo quanto mi è rimasto.
   Con tutti i migliori auguri per Lei e il Suo lavoro
   Suo
Paul Celan

Parigi, 18 maggio 1960.





[1] La frase risulta comprensibile solo se si tiene presente un antico proverbio secondo cui un buon mestiere, una volta acquisito, è sempre redditizio. Sebastian Franck, nei suoi Proverbi pubblicati a Francoforte nel 1560, lo cita nella versione attribuita all’umanista Johannes Agricola: «Ein Handwerk hat einen güldin Boden» [Un artigianato ha un terreno d’oro].


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Da La verità della poesia, a cura di Giuseppe Bevilacqua, Einaudi, Torino 1993, pp. 57-58.