sabato 17 novembre 2012

Fabio Pusterla



(foto Nina Pusterla)




POSTO DI FRONTIERA


Un tempo era tutto più difficile,
passare al primo colpo un miraggio:
maglie chiuse o ganasce,
una paura quotidiana, a suo modo feroce:
nessuna nave pinta da buon vento
(anzi, a un’altra dogana, finita chissà come
nella canicola di un’assordata pianura,
un maresciallo spiegava all’apprendista: «Alla voce
capitano della nave tu non devi scrivere
nulla, perché qui il mare non ci sta»), nessuna
reciproca cortesia.

Adesso forse mi vedono negli occhi
qualcosa di più riconoscibile:
l’usura, o un’ombra dietro,
una stanchezza quasi comune,
un barlume d’armonia. In fondo,
da quanti anni ci vediamo, loro immobili
nei gesti rituali, nelle formule,
io con il solito mezzo sorriso sulla faccia
e  l’aria rassegnata,
che aspetto il mio turno allo sbocco
del tunnel?  Poi, a volte, fanno domande: se sono
un maestro, un architetto, un centometrista abbastanza
celebre tanti anni fa, se sono parente
di una ragazza forte nel salto in lungo, se vengo
da questo o dal quel paese,
se mi ricordo del tale. Chiedono queste cose
illuminati di tenue speranza come se
dalle risposte qualcosa dipendesse,
di importante. Mi dispiace
deluderli ogni volta: insegnante, di un ceppo
marginale, comasco, e no,
nessun rapporto con l’atletica, purtroppo.

Ma in questi giorni uno, con gli occhi tristi, inatteso mi ha chiesto
se io ero lo scrittore Giuseppe Pontiggia, quello che ha scritto
Nati due volte. «No - ho dovuto rispondere, sorpreso -
e poi è morto da qualche anno, mi dispiace;
però l’ho conosciuto, ed era bravo e gentile.  L’avevo
una volta persino invitato a Bellinzona e lo ricordo,
come scendeva dal treno con un cappotto grigio
o cammello e salutava con calma». «Ma se non è lui, però
è almeno uno scrittore anche lei, no? Me lo diceva
un collega, e anche che il suo nome comincia con la P,
e io ho detto Pontiggia perché
avevo in mente quel libro così bello»
- insiste l’occhio triste sorprendente
con una voce simpatica.
Mi spiega che il mestiere
è di quelli aspri e duri: arrivi a casa
come svuotato, perso;
ma quando può lui legge
volentieri, saggi e romanzi
quello che lo ispira.

Ora però dovrei dirgli che invece
purtroppo io sono uno che annota
principalmente dei versi,
cose strane che incontro sul cammino,
affioramenti di voce che non so
quasi mai dove portino.
Ma lui  vuole sapere piuttosto
se, dopo, quando smonta, entrando in google
salterà fuori qualcosa su di me.
«Magari sì - gli dico -
magari», e ci stringiamo la mano
per un attimo fraterni nella rete. 



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Inedito.