giovedì 22 novembre 2012

Camillo Sbarbaro






Vi sono parole che i vocabolari dànno per equivalenti e ch’io non confonderei; non direi mai musco per muschio, visco per vischio… Si eviterebbero ambiguità e, s’anche di poco, la lingua si arricchirebbe. Così la spuma non è la schiuma. La nuvola è leggera, un fiocco di bambagia; la nube, il suono cupo lo dice, è plumbea, minaccia temporale. La sottana è greve, tetra, è quella del prete, dell’ava; mentre la gonna è festosa, è una corolla capovolta…
   Pur minima, la diversità di suono distingue al mio orecchio le parole nel significato; arrivo a separare cumulo dal cumolo che nelle giornate calde avanza in cielo maestoso…
Scrittore, lavorai sempre a intermittenza; senza provare nelle lunghe pause velleità o rimpianti di sorta. Di non avvertire alcuna sollecitazione a scrivere, accettavo con la stessa passività con cui, avvertendola, vi avevo ubbidito. Non mi misi mai di proposito davanti a un foglio bianco; per aver pubblicato, non sentii mai d’aver contratto impegni, neppure con me stesso. Lavorai non è quindi la parola giusta; se la frase non si prestasse a interpretazioni metafisiche, direi che scrissi sempre sotto dettatura.
Ci sono fatti nella mia vita che non so più se siano stati perché li ho resi in parole e quindi, come realtà, bruciati. Quando una pagina mi accontenta, cessa di appartenermi – staccata al punto che posso senza rossore lodarla.
Capita che quello che scrivo mi prenda la mano, acquisti mio malgrado un’andatura cantante. La parola s’insedia da sé nello schema d’un verso; impossibile sloggiarla, spezzare quel ritmo gratuito. È il campanello d’allarme: non c’è che alzarsi e uscire.
Se il tuo dovere è in una il tuo piacere, quale altra felicità cerchi su questa terra?
Anche della mia lingua ho una conoscenza approssimativa. Tante parole le evito, malsicuro del loro significato; e se non le cerco nei dizionari, non è solo che dei dizionari diffido, ma che una parola non assimilata in tanti anni, non divenuta carne e sangue, mi saprebbe sempre di accatto.
Laurea è dispensa da imparare: il pezzo di carta su cui ci si siede per difendere l’alfine acquisito diritto all’ignoranza.

Ministro della Pubblica Istruzione, mi scalzerei il posto col primo provvedimento: abolirei le scuole. L’istruzione tornerebbe a essere quello che è: il privilegio di chi lo merita. Il quale non avrà bisogno di insegnanti: imparerà da sé – che è il solo modo di imparare.
Più facile scrivere che cancellare; più che in ciò che riesce a dire, il merito dello scrittore è in ciò che riesce a tacere.
Condizione per far grandi cose, mirare oltre. Dante si sarebbe addossato la soma della Commedia se avesse creduto che tutto quel che facciamo è fine a sé?
Controcorrente, in acqua limpida: la divisa della trota, la nostra.


............................................................................................................................................Da Fuochi fatui, in L’opera in versi e in prosa a cura di Gina Lagorio e Vanni Scheiwiller, Garzanti, Milano 1985, pp. 423, 427, 437, 440, 441, 442, 456, 480, 482, 486.