Como, una città sul lago
Arrivavo a Como in bicicletta, seguendo una strada ora in
disuso, fino alla lunga discesa che planava sulla città con numerose giravolte.
Mi accoglieva l’acciottolato di porfido rosso di via Briantea. Allora, dopo la
prima curva, tutto mi appariva grande e bello senza perdere per questo in
familiarità.
Ero arrivato a Como.
Sono cambiati i luoghi delle mie frequentazioni, che allora erano
principalmente il Lido e il Giardino zoologico, adesso in disarmo.
Come potrei dimenticare il leone che vi era ospitato, con la
più folta criniera mai vista, somigliante a un covone di grano?
Per un po’ di tempo ho vagato alla ricerca del Collegio dove
aveva studiato mia madre, Angioletta Frigerio, poi attrice di un certo talento
nei primi anni Venti. Sarebbe stato tanto facile chiederlo a lei, ma le domande
non si fanno mai quando è il momento.
La Casa del Fascio del Terragni mi è sempre sembrata di un
diverso e superiore ordine di bellezza, qualcosa come il Partenone.
È diventato il luogo che si rivede ogni volta con emozione
profonda.
Terragni, ormai riconosciuto fra i massimi architetti e
artisti del Novecento, ha lavorato anche a Erba, dove sono nato, per la
costruzione del suo Monumento ai Caduti.
Veniva qualche volta a casa nostra, ospite di mio padre, che
lo annunciava in dialetto, e a me sembra di sentire ancora la sua voce, ma
certo è un’illusione.
Non è invece un’illusione la lettera aperta che il pittore
Radice aveva indirizzato al suo amico Terragni, morto da tempo, per
testimoniargli l’ammirazione di Le Corbusier, oltre la sua naturalmente. Fra le
più belle lettere che mi sia capitato di leggere.
Qualcosa mi spinge adesso verso la Como medievale e romana e
anche qui i monumenti non mancano e sono a portata di mano.
Di solito faccio le mie passeggiate la mattina, arrivando da
Milano con la Ferrovia Nord, e le concludo all’Osteria del Gallo, dove il vino
è buono e i prezzi sono onesti.