Basilea
Il Reno è una frontiera naturale che non separa nulla, però separa Basilea in due parti, il che non impedisce affatto l’indicibile noia di entrambe le parti. Qui grava su tutto una triplice noia: quella tedesca, quella dei mercanti e quella svizzera. Nessuna meraviglia che l’unica produzione artistica concepita a Basilea raffiguri dei morenti che ballano con la morte; all’infuori dei morti qui non c’è nessuno che si diverta, sebbene la società tedesca ami moltissimo la musica, ma anche quella molto seria ed elevata.
È una città di transito; ci passano tutti e
nessuno ci si ferma all’infuori dei corrieri e dei carrettieri di gran marca.
Vivere a Basilea senza nutrire un affetto
particolare per il denaro, è impossibile. Del resto, nelle città svizzere la
vita è noiosa e non solo in quelle svizzere ma in tutte le città non grandi. « Che
meravigliosa città è Firenze » dice Bakunin « è come uno squisito confetto;… lo
mangi e non finisci di godere, ma in capo a una settimana tutto quel dolce t’è
venuto mortalmente a noia. » È proprio così; che dire, dopo ciò, delle città
svizzere? Prima si viveva bene e in pace sulle rive del Lemano, ma da quando da
Vevey a Vetroz hanno costruito dovunque ville dove sono venute a stabilirsi
intere famiglie della nobiltà russa, spolpate dalla sventura del 19 febbraio
1861[1], la
gente come me deve starsene alla larga.
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Da Passato e pensieri, traduzione e introduzione di Clara Coïsson, Mondadori, Milano 1970.