Fano
A vederla così, c’è chi si innamora e chi si arrabbia e perde la
pazienza. Parlo di Fano, la cittadina non tanto descritta quanto
immaginata da Fabio Tombari
negli anni Venti del secolo scorso. Sembra incredibile che l’allegria e la
poesia delle Cronache di Frusaglia
nascano dallo stesso corpo sociale di Maria
Risorta, romanzo marinaresco di Giulio Grimaldi, del 1908. Una ventina
d’anni e la pietas di Grimaldi viene aggiornata dallo strapaese futurista di
Tombari. Impensabile. La cittadina è sempre quella e Tombari è tutto tranne che
un realista eppure nei frusagliani e nei ghiottoni i fanesi si sono
riconosciuti più che nelle documentate antropologie di Grimaldi. Ancora: quella
di Fabio Tombari è una location immaginaria eppure tutti i fanesi (e limitrofi)
vi avvertono una sintonia segreta, vorrebbero recitare lì dentro. Ma adesso?
Adesso c’è un agglomerato di poco più di 62.000 persone che premono ogni giorno
con le automobili dentro le antiche cinte murarie romane e medievali,
impiegando più tempo a trovare un parcheggio di quello di una sana camminata da
qualsiasi punto periferico verso il cosiddetto centro. Però, per la verità e
anche azzarderei per puro miracolo, c’è ogni tanto qualcuno che si inventa
qualcosa di incredibile.
Ti faccio un esempio: si portano gli
spettacoli della Scala nella Corte Malatestiana, si restaurano monumenti
abbandonati come il Teatro del Poletti, la Rocca, il Bastione Sangallo, le
chiese, Lamedica ridisegna la spiaggia di Sassonia e nello spirito del
Concilio, come dialogo tra religioni, progetta il cimitero dell’ulivo, si
costruiscono mediateche all’avanguardia, c’è Dario Fo che immette nuova linfa
nelle vene atrofizzate del Carnevalone e c’è Battiato che dirige qualche
stagione di grande musica. In questi periodi, la città ricomincia a piacerti, e
ci sono anche i marciapiedi per percorrerla, perché finalmente qualcuno ha
pensato a chi cammina, e d’estate Adriano Pedini ti porta il Jazz
internazionale, insomma pensi di avere esagerato nei panni del piantagrane che
trova sempre da ridire, e ti viene quasi da piangere quando vedi risvegliarsi
queste energie buone della città, e trovi angoli deliziosi tra le strette vie
del suo vecchio cuore urbanistico, e resti ammaliato dalla città verde, dai
viali alberati pieni di fronde in primavera, vai all’avventura nelle bore
invernali che flagellano le rive, oppure ti addormenti sognando nelle sabbie
del piccolo arco di spiaggia che va dal porto al molo del canale. Sempre,
dietro le spalle, avverti il respiro delle vallate portato dal Metauro, giù
dalle gole del Furlo fino all’Adriatico. Qualcuno su nel Montefeltro aveva
pensato alla città ideale, forse aveva negli occhi la sensualità delle colline
e la Basilica di Vitruvio, ti viene da pensare. Eh sì, c’è sempre questa
ingenua facilità di illudersi, tra fantasmi letterari e l’invenzione di spazi
veri dove stare insieme, conversare, architettare burle, sognare e litigare. Ma
ecco che succede l’impensabile. Diamone una versione fiabesca, come nei film di
Walt Disney, quando si risvegliano le forze oscure e telluriche, qui un po’ più
sul grigio sordo che sul nero e più che telluriche balzane. La location diventa
semplice localismo. E che sfiga, poi c’è anche la Crisi. E così passano anni e
anni. Adesso cammina e prova a seguire la tua guida intima. Non c’è neanche il
fascino delle rovine. C’è il centro storico devastato dalle automobili, ci sono
le strade piene di buche, i giardini dimenticati, e al posto delle idee felici
c’è della gente in costume romano che assiste alla corsa delle bighe mentre nei
cieli le Frecce Tricolori mandano in fumi policromi i risparmi delle persone
travestite da antichi romani, che applaudono pure. Ormai sono anni che i cittadini vengono
intimoriti da programmi di asfaltature delle strade che fortunatamente non
vengono realizzate, lasciando così che il nome corrisponda alle cose: la città
della fortuna (da Fanum Fortunae). Se hai la fortuna di evitare le buche e i
fessi.
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Inedito.
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Inedito.