(foto Nina Pusterla)
POSTO
DI FRONTIERA
Un
tempo era tutto più difficile,
passare
al primo colpo un miraggio:
maglie
chiuse o ganasce,
una
paura quotidiana, a suo modo feroce:
nessuna
nave pinta da buon vento
(anzi,
a un’altra dogana, finita chissà come
nella
canicola di un’assordata pianura,
un
maresciallo spiegava all’apprendista: «Alla voce
capitano della nave tu non devi scrivere
nulla,
perché qui il mare non ci sta»), nessuna
reciproca
cortesia.
Adesso
forse mi vedono negli occhi
qualcosa
di più riconoscibile:
l’usura,
o un’ombra dietro,
una
stanchezza quasi comune,
un
barlume d’armonia. In fondo,
da
quanti anni ci vediamo, loro immobili
nei
gesti rituali, nelle formule,
io
con il solito mezzo sorriso sulla faccia
e l’aria rassegnata,
che
aspetto il mio turno allo sbocco
del
tunnel? Poi, a volte, fanno domande: se
sono
un
maestro, un architetto, un centometrista abbastanza
celebre
tanti anni fa, se sono parente
di
una ragazza forte nel salto in lungo, se vengo
da
questo o dal quel paese,
se
mi ricordo del tale. Chiedono queste cose
illuminati
di tenue speranza come se
dalle
risposte qualcosa dipendesse,
di
importante. Mi dispiace
deluderli
ogni volta: insegnante, di un ceppo
marginale,
comasco, e no,
nessun
rapporto con l’atletica, purtroppo.
Ma
in questi giorni uno, con gli occhi tristi, inatteso mi ha chiesto
se
io ero lo scrittore Giuseppe Pontiggia, quello che ha scritto
Nati due volte. «No - ho dovuto rispondere, sorpreso -
e
poi è morto da qualche anno, mi dispiace;
però
l’ho conosciuto, ed era bravo e gentile.
L’avevo
una
volta persino invitato a Bellinzona e lo ricordo,
come
scendeva dal treno con un cappotto grigio
o
cammello e salutava con calma». «Ma se non è lui, però
è
almeno uno scrittore anche lei, no? Me lo diceva
un
collega, e anche che il suo nome comincia con la P,
e
io ho detto Pontiggia perché
avevo
in mente quel libro così bello»
-
insiste l’occhio triste sorprendente
con
una voce simpatica.
Mi
spiega che il mestiere
è
di quelli aspri e duri: arrivi a casa
come
svuotato, perso;
ma
quando può lui legge
volentieri,
saggi e romanzi
quello
che lo ispira.
Ora
però dovrei dirgli che invece
purtroppo
io sono uno che annota
principalmente
dei versi,
cose
strane che incontro sul cammino,
affioramenti
di voce che non so
quasi
mai dove portino.
Ma
lui vuole sapere piuttosto
se,
dopo, quando smonta, entrando in google
salterà
fuori qualcosa su di me.
«Magari
sì - gli dico -
magari»,
e ci stringiamo la mano
per
un attimo fraterni nella rete.
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Inedito.