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Vi sono parole che i vocabolari dànno per equivalenti e ch’io non confonderei; non direi mai musco per muschio, visco per vischio… Si eviterebbero ambiguità e, s’anche di poco, la lingua si arricchirebbe. Così la spuma non è la schiuma. La nuvola è leggera, un fiocco di bambagia; la nube, il suono cupo lo dice, è plumbea, minaccia temporale. La sottana è greve, tetra, è quella del prete, dell’ava; mentre la gonna è festosa, è una corolla capovolta…
Pur minima, la diversità di suono distingue al mio orecchio le parole nel significato; arrivo a separare cumulo dal cumolo che nelle giornate calde avanza in cielo maestoso…
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Scrittore, lavorai sempre a intermittenza; senza provare nelle lunghe pause velleità o rimpianti di sorta. Di non avvertire alcuna sollecitazione a scrivere, accettavo con la stessa passività con cui, avvertendola, vi avevo ubbidito. Non mi misi mai di proposito davanti a un foglio bianco; per aver pubblicato, non sentii mai d’aver contratto impegni, neppure con me stesso. Lavorai non è quindi la parola giusta; se la frase non si prestasse a interpretazioni metafisiche, direi che scrissi sempre sotto dettatura.
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Ci sono fatti nella mia vita che non so più se siano stati perché li ho resi in parole e quindi, come realtà, bruciati. Quando una pagina mi accontenta, cessa di appartenermi – staccata al punto che posso senza rossore lodarla.
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Capita che quello che scrivo mi prenda la mano, acquisti mio malgrado un’andatura cantante. La parola s’insedia da sé nello schema d’un verso; impossibile sloggiarla, spezzare quel ritmo gratuito. È il campanello d’allarme: non c’è che alzarsi e uscire.
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Se il tuo dovere è in una il tuo piacere, quale altra felicità cerchi su questa terra?
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Anche della mia lingua ho una conoscenza approssimativa. Tante parole le evito, malsicuro del loro significato; e se non le cerco nei dizionari, non è solo che dei dizionari diffido, ma che una parola non assimilata in tanti anni, non divenuta carne e sangue, mi saprebbe sempre di accatto.
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Laurea è dispensa da imparare: il pezzo di carta su cui ci si siede per difendere l’alfine acquisito diritto all’ignoranza.
Ministro della Pubblica Istruzione, mi scalzerei il posto col primo provvedimento: abolirei le scuole. L’istruzione tornerebbe a essere quello che è: il privilegio di chi lo merita. Il quale non avrà bisogno di insegnanti: imparerà da sé – che è il solo modo di imparare.
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Più facile scrivere che cancellare; più che in ciò che riesce a dire, il merito dello scrittore è in ciò che riesce a tacere.
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Condizione per far grandi cose, mirare oltre. Dante si sarebbe addossato la soma della Commedia se avesse creduto che tutto quel che facciamo è fine a sé?
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Controcorrente, in acqua limpida: la divisa della trota, la nostra.
............................................................................................................................................Da Fuochi fatui, in L’opera in versi e in prosa a cura di Gina Lagorio e Vanni Scheiwiller, Garzanti, Milano 1985, pp. 423, 427, 437, 440, 441, 442, 456, 480, 482, 486.