mercoledì 1 febbraio 2017

g. z.







Neri-Via provinciale


Alla smania di certa critica, di scervellarsi a cercar parentele e d’etichettare sempre e comunque tutti, nessuno escluso, non è sfuggito, va da sé, neppure un non classificabile per eccellenza come Giampiero Neri.
Remo Pagnanelli, nel 1987, in un saggio che resta a mio avviso insuperato, già osservava che «Il critico-lettore a contatto con la scrittura di Neri rischia delle grame figure, poiché la sua stesura, pur non sottesa da una strategia conscia di depistamento, continuamente nasconde e vela (avrebbe detto Freud) il profondo nella superficie», ma evidentemente quel saggio non tutti lo hanno letto.
Mi sento di poter aggiungere, a integrazione di quanto diceva Pagnanelli, che «la stesura» può estendersi persino allo pseudonimo, al nome d’arte “Giampiero Neri” con cui Gianpietro Pontiggia, non certo per distrazione, si firma da sempre.
Peraltro Neri non ha alle spalle una lunghissima carriera, avendo egli pubblicato L’aspetto occidentale del vestito, il primo libro, all’età di 49 anni, il secondo, Liceo, a 55, il terzo, Dallo stesso luogo, a 65. E se non è mai facile capire tutto e subito, tanto meno lo è quando l’autore si presenta maturo, con già delle buone carte in mano, nel qual caso la prudenza è d’obbligo, conviene attendere il riscontro di qualche sua mossa in più prima di parlare.
Gli appellativi fuorvianti, dicevo all’inizio, sono diversi, alcuni vengono puntualmente ripresi e pigramente ripetuti per un libro come per l’altro ma insomma, sintetizzando, si va dalla riesumazione del titolo nobiliare di “maestro in ombra”, coniato ad hoc da Pasolini per poeti come Rebora o Sbarbaro o Palazzeschi, che nel «particolare momento che costituisce il passaggio dal vocianesimo al rondismo» finirono, volenti o nolenti, «col restare indietro, al margine», perciò da una formula che torna inappuntabile se applicata a quei maestri ma priva di qualsiasi fondamento se riferita al nostro (e sì che basterebbe piuttosto dare una rapida occhiata alla bibliografia critica che lo riguarda per accorgersi che “in ombra” Neri non è mai veramente stato, che la stampa più accreditata non ha tardato molto a considerarne il valore, né la grossa editoria) fino alla nomea di “poeta irregolare” (come se una regola precisa in poesia esistesse…). Non mi dilungo oltre.  
Via provinciale ci riconduce alla realtà dei fatti, ossia delle pagine scritte che sono, una volta di più, inconfondibilmente sue, di uno scrittore fedele alla sua idea di scrittura, che si vuole educata, asciutta e severa, fedele ai suoi temi e tempi e, nella fattispecie, dopo Paesaggi inospiti, ancora già dal titolo del libro, fedele ai suoi luoghi. Sembra quasi di vederla, quella Via, di esserci già passati, a chi conosca un po’ la Brianza, inerpicarsi o discendere tra le montagne nei dintorni di Como, di Canzo, dei laghi di gaddiana memoria, di Erba in cui Giampiero Neri è nato, a tutt’oggi abituale riparo estivo del vecchio scrittore dalla calura e dai traffici della metropoli lombarda.
Una sua prosa del 1996, intitolata Informazione e lavoro in poesia, prendeva avvio da un altro titolo, di Tolstoj, Chi deve imparare a scrivere e da chi, se i ragazzi di campagna da noi, o noi dai ragazzi di campagna. Più di tante attribuzioni suggestive ma assai poco realistiche, questo ultimo «lavoro in poesia» di Neri ci viene a dire che si può essere “centrali” anche restando in periferia, che da lontano, tante volte, si vede meglio.


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Giampiero Neri, Via provinciale, Garzanti, Milano 2017.