giovedì 1 ottobre 2015

Elio Tavilla








certo, alla fine i fiori esistono, ma non è per questo che i maiali
ci angustiano con quel dolore da predestinati, lo avranno visto anche loro
il mortale distendersi delle petunie o delle ortensie o ancora i girasoli
con la vaga dissolvenza dilatata all’infinito... Vira al temporale il nostro pomeriggio.
Avevi con te la borsa e la coperta, niente cuoricini infranti sopra i legni scheggiati
dei lecci, e quindi: perché quel palpitare inutile di carni commestibili, lo sai
ti mangerei da viva se proprio lo vuoi detto. Non approvi, continui a camminare
nel breve ti avrei detto qualcosa di trascorso e invece la sirena interrompe
ogni scampo, una cosa per volta – mirare, fingere, sparare


*


sette  di sera, non ho mangiato nulla da due giorni, qualcosa
fuoriesce dallo spazio interstellare, un’ernia indivisibile che le truppe
francesi avrebbero sconfitto come ad Austerlitz o ad Alessandria, le bestie
assiepate sugli spalti come ultima cosa viva da toccare. Però me lo dicevi
che a due giorni da qui c’erano i dolori, ridacchiavi al lugubre messaggio
dei morti: «Butta via la foia che hai in corpo, assièpati come le bestie sugli spalti
sei la carne da cannone del secolo ventuno, uno come tanti». A braccetto
espiavamo le colpe, davanti a un cumulo di ossa consumavamo
il pasto delle fiere


luglio-agosto 2015