lunedì 13 maggio 2013

Marco Aime



   Lo specchio dell’altro


   Uno dei paradossi del tempo presente è che i paladini delle identità, quelli che le brandiscono come armi contro ogni diversità, vorrebbero cancellare l’altro, quando invece è proprio grazie a quell’altro, che essi costruiscono il proprio noi. L’identità, infatti, è un dato relazionale, che si costruisce sulla base della diversità. Non c’è identità senza alterità: siamo ciò che gli altri non sono. E per dipingerci migliori, spesso condanniamo gli altri a essere ciò che noi non vogliamo essere. Addossare colpe e difetti a qualcuno che è estraneo ci rende automaticamente buoni. Si tratta dello stesso meccanismo che sta alla base delle accuse di stregoneria: incanalare le responsabilità di ogni fatto negativo su una strega evita di cercare quel male all’interno della comunità, cosa che provocherebbe tensioni e possibili implosioni. Da un lato questo atteggiamento può avere anche la funzione di creare una maggiore coesione all’interno della società, dall’altro genera una produzione continua di alterità.
   In una celebre poesia di Costantino Kavafis, Aspettando i barbari (1908), tutti attendono l’arrivo dei barbari, nessuno fa nulla nell’attesa che si mostrino, fino alla delusione finale: non arriva nessuno. E adesso, senza barbari, cosa sarà di noi? Si chiede il poeta: «Erano una soluzione, quella gente», scrive Kavafis. Serviva l’altro.
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Da Cultura, Bollati Boringhieri editore, Torino 2013, p. 84.