domenica 1 novembre 2015

Fabio Pusterla







VIA TRINCHESE


Mite città del sud corsa dallo scirocco
luce quasi orientale strade bianche;
ma lungo via Trinchese il segno nero
orrido sopra il muro: «Pasolini
appeso». Pasolini chi, ci chiediamo,
Pierpaolo? Ma è già stato massacrato
in vita e in morte: adesso ancora
appeso? Vilipeso
quarant’anni più tardi?  E da chi?

O forse è un altro
Pasolini: il compagno più inviso,
un insegnante odiato o odioso,
un qualsiasi presunto nemico, un tifoso
da massacrare in sogno, da squartare
per sfogare una rabbia che cova?
(Quanti Pasolini massacrabili quanti
massacratori smaniosi… ) E poi:
appeso come, appeso dove?

Appeso come un gerarca
sconciato, sottratto alla parola e all’accusa,
ridotto al silenzio? O appeso ad un fanale,
in una notte bianca e nera di Parigi,
a comporre l’arcana
figura dei tarocchi
da poeta nervoso?  O sotto un ponte
di Londra, sul Tamigi affumicato,
come un banchiere troppo esoso,
troppo pericoloso o troppo inutile
rotella dell’ennesimo mistero
gaudioso d’Italia? Appeso a un gancio
come una bestia sgozzata,
a una putrella a una trave portante,
a un arco di rovina?

O appeso al nulla,
come un bimbo innocente
gettato a riva dal mare
e subito rappreso
in icona del rimorso collettivo
di un’Europa rancorosa
timorosa e divisa
Europa sussiegosa che è caduta
dalla groppa del toro nella polvere sulfurea,

o appeso come noi
oggi qui appesi all’assenza
di un senso di un progetto dignitoso,
con gli occhi persi di fronte
a questa scritta ignobile che parla
per tutti, che dice
il punto dell’orrore forse il punto
di non ritorno, la tempura
in cui friggiamo e geliamo
malmostosi e ancora increduli
che per certo lì vi sia quel che c’è scritto,
che possa quella cosa essere vera? (E lo è.)




FRAMMENTI METROPOLITANI


Da che luce d’altopiano da che crollo
memoria di boato o di schianto
viene l’uomo che adesso si appoggia al muro di un sottopassaggio
e piange e sembra grugnire scuote un ringhiera
dicendo tra le lacrime non so,
io davvero non so che cosa mi stia succedendo, ma è terribile
e bellissimo e ingiusto, e intanto gli passano accanto
donne su biciclette, bambini vestiti di giallo,
e sopra la sua testa i suoi sogni o fantasmi lentissime piovre,
corrono vagoni ripieni di merci, automobili,
piccoli e grandi vortici,

se ora ripensa forse a una strada brulicante di Ginevra
dove l’ignoto italiano diceva all’amico, con tono
grave, perché poi il sangue piccolo
si mescola col sangue grande, e questo non deve
capitare mai, tu m’intendi, mai,
e nessuno poteva capire davvero
a quale oscura catastrofe si riferisse,
guardando senza vedere vetrine addobbate
di scarpe alla moda, computer, ma certo
catastrofe era, spavento,

e poi in corso Manzoni, diciamo, ricorda una donna
che grida e singhiozza perché
tu non vuoi stare con me? perché, perché? non ti sento                                              
già più e si accascia, il telefono cade, si spegne
e una folla la inghiotte
Milano la strozza Milano la prende
e intanto una mano dipinge sul muro una scritta: che cosa
amici ci sta capitando, a noi tutti? Che cosa?
E la gioia: chi ha rubato la gioia?,

se adesso non rende
memoria o speranza alcun mare,
se ciò che rintocca è il martello
pneumatico sordo dei giorni
e lui tutto questo si dice e ripete. Poi torna
nel traffico, mangia un’albicocca, aspetta il tram.