VIA TRINCHESE
Mite città del
sud corsa dallo scirocco
luce quasi
orientale strade bianche;
ma lungo via
Trinchese il segno nero
orrido sopra il
muro: «Pasolini
appeso».
Pasolini chi, ci chiediamo,
Pierpaolo? Ma è
già stato massacrato
in vita e in
morte: adesso ancora
appeso? Vilipeso
quarant’anni più
tardi? E da chi?
O forse è un
altro
Pasolini: il
compagno più inviso,
un insegnante
odiato o odioso,
un qualsiasi
presunto nemico, un tifoso
da massacrare in
sogno, da squartare
per sfogare una
rabbia che cova?
(Quanti Pasolini
massacrabili quanti
massacratori
smaniosi… ) E poi:
appeso come,
appeso dove?
Appeso come un
gerarca
sconciato,
sottratto alla parola e all’accusa,
ridotto al
silenzio? O appeso ad un fanale,
in una notte
bianca e nera di Parigi,
a comporre
l’arcana
figura dei
tarocchi
da poeta
nervoso? O sotto un ponte
di Londra, sul
Tamigi affumicato,
come un
banchiere troppo esoso,
troppo
pericoloso o troppo inutile
rotella
dell’ennesimo mistero
gaudioso
d’Italia? Appeso a un gancio
come una bestia
sgozzata,
a una putrella a
una trave portante,
a un arco di
rovina?
O appeso al
nulla,
come un bimbo
innocente
gettato a riva
dal mare
e subito
rappreso
in icona del
rimorso collettivo
di un’Europa
rancorosa
timorosa e
divisa
Europa
sussiegosa che è caduta
dalla groppa del
toro nella polvere sulfurea,
o appeso come
noi
oggi qui appesi
all’assenza
di un senso di
un progetto dignitoso,
con gli occhi
persi di fronte
a questa scritta
ignobile che parla
per tutti, che
dice
il punto
dell’orrore forse il punto
di non ritorno,
la tempura
in cui friggiamo
e geliamo
malmostosi e
ancora increduli
che per certo lì
vi sia quel che c’è scritto,
che possa quella
cosa essere vera? (E lo è.)
FRAMMENTI
METROPOLITANI
Da che luce
d’altopiano da che crollo
memoria di
boato o di schianto
viene l’uomo
che adesso si appoggia al muro di un sottopassaggio
e piange e
sembra grugnire scuote un ringhiera
dicendo tra le
lacrime non so,
io davvero non so che cosa mi stia succedendo, ma è
terribile
e bellissimo e ingiusto, e intanto gli passano accanto
donne su
biciclette, bambini vestiti di giallo,
e sopra la sua
testa i suoi sogni o fantasmi lentissime piovre,
corrono vagoni
ripieni di merci, automobili,
piccoli e
grandi vortici,
se ora ripensa
forse a una strada brulicante di Ginevra
dove l’ignoto
italiano diceva all’amico, con tono
grave, perché poi il sangue piccolo
si mescola col sangue grande, e questo non deve
capitare mai, tu m’intendi, mai,
e nessuno
poteva capire davvero
a quale oscura
catastrofe si riferisse,
guardando
senza vedere vetrine addobbate
di scarpe alla
moda, computer, ma certo
catastrofe
era, spavento,
e poi in corso
Manzoni, diciamo, ricorda una donna
che grida e
singhiozza perché
tu non vuoi stare con me? perché,
perché? non ti sento
già più e si accascia, il telefono cade, si spegne
e una folla la
inghiotte
Milano la
strozza Milano la prende
e intanto una
mano dipinge sul muro una scritta: che
cosa
amici ci sta capitando, a noi tutti? Che cosa?
E la gioia: chi ha rubato la gioia?,
se adesso non
rende
memoria o
speranza alcun mare,
se ciò che
rintocca è il martello
pneumatico
sordo dei giorni
e lui tutto
questo si dice e ripete. Poi torna
nel traffico,
mangia un’albicocca, aspetta il tram.