certo, alla fine i fiori esistono, ma non è per questo che i maiali
ci angustiano con quel dolore da
predestinati, lo avranno visto anche loro
il mortale distendersi delle petunie o
delle ortensie o ancora i girasoli
con la vaga dissolvenza dilatata
all’infinito... Vira al temporale il nostro pomeriggio.
Avevi con te la borsa e la coperta,
niente cuoricini infranti sopra i legni scheggiati
dei lecci, e quindi: perché quel
palpitare inutile di carni commestibili, lo sai
ti mangerei da viva se proprio lo vuoi
detto. Non approvi, continui a camminare
nel breve ti avrei detto qualcosa di
trascorso e invece la sirena interrompe
ogni scampo, una cosa per volta –
mirare, fingere, sparare
*
sette
di sera, non ho mangiato nulla da due giorni, qualcosa
fuoriesce dallo spazio interstellare,
un’ernia indivisibile che le truppe
francesi avrebbero sconfitto come ad
Austerlitz o ad Alessandria, le bestie
assiepate sugli spalti come ultima cosa
viva da toccare. Però me lo dicevi
che a due giorni da qui c’erano i
dolori, ridacchiavi al lugubre messaggio
dei morti: «Butta via la foia che hai
in corpo, assièpati come le bestie sugli spalti
sei la carne da cannone del secolo
ventuno, uno come tanti». A braccetto
espiavamo le colpe, davanti a un cumulo
di ossa consumavamo
il pasto delle fiere
luglio-agosto 2015