16.
…Lei vuole chiudere gli occhi nel sogno,
ma non può. In una corona di lacrime
che luccica su un ciglio dopo l’altro, lei lo vede
che, avvicinandosi, si sta inevitabilmente avvicinando:
Paride, questo Paride, che si avvicina, e – che è
questo che ora pende sopra il suo viso…
Egli ha una nuca come di un vitello, quando
questo non salta più nel prato, ma tiene
fissa la nuca girata verso terra, gonfio nel garrese
e non più agile; perché ha raggiunto
il tempo dell’inquietudine nelle viscere.
– E su una nuca che, dura e larga, sta ferma,
sale allora la magrezza delle guance per
la tazza triangolare del mento, come muri di
una torre diritta, fino alla fronte
che è una placca soleggiata davanti al sole.
– I suoi occhi invece: non sono forse quali
dei soli come l’Ade ne deve conoscere, che neri
e atroci sono, i soli dei misteri,
più intensi di ogni incendio del sole nel cielo,
e neri? – E con quei soli egli la guarda,
qui sopra di lei, scandagliando il suo sogno,
e con la bocca scura che, tenera quale
un frutto morsicato, pende madida e calda,
e sembra succhiare, rude, un’aria che è fiamma,
e risucchia la sua vita, la sua vita intera…
17.
E… quando si sveglia, Elena, e l’occhio
si immerge nel pianto, e nel più profondo di lei si agita,
indicibile, la disperazione, ed un profondo lamento
per l’ignoto che lì minaccioso l’aspetta
geme come un uccello malato nella sua testa,
– ecco, lei vede, sveglio al suo tremante fianco,
il principe Menelao che la guarda teneramente,
china sopra di lei il mento curvo,
e mormora, e: “Quanto sono belli i tuoi occhi,
mia cara, e spendenti! Oh, come mi ami,
che già al primo risveglio, e prima
che tu abbia guardato il tuo compagno di letto,
il tuo occhio splende di amore, verso di lui!”…
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Da Elena di Sparta: Elena donna, componimento 16 e 17, in Interludi, traduzione (con testo a fronte) e cura di Jean Robaey,
Edizioni Medusa, Milano 2016, pp. 425, 427.