Vecchio contadino: Patience Escalier (agosto 1888). Saint Moritz, collezione privata.
Ritratto di Joseph Roulin seduto (luglio-agosto 1888). Boston, Museum of Fine Arts.
[…]
Nel ritratto del contadino mi sono regolato
con lo stesso sistema. Tuttavia senza pretendere in questo caso di evocare lo
splendore misterioso di una pallida stella dell’infinito. Ma immaginando l’uomo
terribile che dovevo fare in mezzo al forno della mietitura, in pieno
mezzogiorno. Da ciò gli arancioni sfolgoranti come ferro arroventato, da ciò i
toni di oro vecchio luminoso nelle ombre.
Ah, caro fratello… e le persone per bene vedranno
in queste esagerazioni solo della caricatura.
Ma che importa, abbiamo letto Terre e Germinal, e se dipingiamo un contadino, vorremmo dimostrare che
questa lettura ha finito per fare un po’ corpo con noi.
Non so se potrò dipingere il portalettere come lo sento, quest’uomo assomiglia a
papà Tanguy come rivoluzionario; probabilmente è considerato un buon
repubblicano perché detesta cordialmente la repubblica di cui godiamo i
vantaggi, e perché in complesso dubita un poco ed è un po’ disincantato della
idea repubblicana stessa. Ma un giorno l’ho visto quando cantava la
Marsigliese, e mi sembrava di vedere il 1789, non l’anno dopo, ma proprio
l’anno di 99 anni fa. Era Delacroix, Daumier, i vecchi olandesi. Purtroppo non
lo posso far posare, eppure sarebbe necessario, per poter fare un quadro, un
modello intelligente.
Devo dirti ora che questi giorni sono di una
durezza estrema dal lato materiale. Qualunque cosa io faccia la vita è molto
cara, quasi come a Parigi, dove spendevo quattro o cinque franchi al giorno,
non facendo niente di straordinario. Mi prendo dei modelli e perciò diventa
ancora più difficile. Non importa, comunque continuerò così.
Come pure ti assicuro che se tu di tanto in
tanto mi mandassi per combinazione un po’ più di soldi, se ne avvantaggerebbero
i quadri, e non io. Per conto mio non ho che la scelta fra essere un buon
pittore o uno mediocre. Scelgo il primo. Ma le necessità della pittura sono
come quelle di un’amante costosa, non si può fare niente senza soldi e non se
ne hanno mai abbastanza. Perciò la pittura dovrebbe farsi a spese della società
e non esserne sovraccaricato l’artista. Ma invece, ecco, bisogna per di più
tacere, perché nessuno ti obbliga a
lavorare, dato che l’indifferenza per la pittura è fatalmente molto generale,
e di lunga data.
[…]
Da
una lettera al fratello, datata Arles, 11 agosto 1888, in Lettere a Theo sulla pittura, note di Massimo Cescon, traduzione di
Marisa Donvito e Beatrice Casavecchia, scelta di Tiziano Gianotti, Tea, Milano
2003, pp. 132-133.