I
critici chiedono alla poesia concetti e sistemi. Leggo acute analisi, m’informo
di tutte le operazioni chirurgiche, alcune assai delicate ch’essi conducono con
la benda davanti alla bocca per arrivare al midollo spinale del povero poeta
smidollato. Gli attribuiscono capacità nervose, capacità intellettuali,
capacità dialettiche. Cercano la logica nei poeti. E pensare che la filosofia
dei poeti è una così povera cosa al confronto della loro poesia! La loro
scienza non giova alla poesia quanto giova la loro innocenza. Il mio sforzo di
scrivere versi è stato appunto il disprezzo della mia saggezza. Sono cresciuto
negli anni senza guadagnare nessuna certezza che potesse servire da struttura
alla mia poesia. Credo di non sapere ancora quale sia precisamente il mestiere
del poeta. Non conosco una sola regola valida in ogni caso. I risultati buoni o
cattivi non saranno mai prevedibili. Non ho mai chiesto alla poesia di aiutarmi
a risolvere i miei problemi. La poesia, l’ispirazione, non ho avuto la
possibilità e la pazienza di conformare il mio disordine ai loro capricci. Ho
aspettato a ore fisse. Il poeta non predispone ma raccoglie. Le sue
predilezioni possono sembrare sconcertanti, egli fabbrica le gerarchie sul
momento. Non cerca la lepre, ma cerca l’unità. I versi hanno una concatenazione
che non si rivela in superficie. Convergono verso un punto che le
stratificazioni possono nascondere a qualunque scandaglio, un cuore
introvabile. Spesso il critico è quel piccolo animale che strisciando sulla
sfera non saprà mai giungere al centro perché non ne conosce la formula, la
forma.
........................................................................................................................................................Da
L’età della luna, Mondadori, Milano
1962, in L’ellisse, Poesie 1932-1972,
a cura di Giuseppe Pontiggia, Mondadori, Milano 1974, pp. 95-96.