I fatti nuovi, ch’erano per giocare a
contrasto d’ogni tentazione revisoria del dispositivo-base (e cioè dell’idea di
lasciar tutto, metà per uno, alla coppia Giuseppe-Adelaide, ormai congiunti dal
doppio vincolo del matrimonio a fil doppio: civile, 1910, e per di più
religioso) i fatti nuovi erano maturati e caduti nella realtà della cognizione
comune, quella cognizione ovvero consapevolezza che certi filosofi chiamano
appunto «il reale» per meglio distinguerlo dallo strascico delle loro private
farneticazioni, quasi concedendogli un diritto di pallida cittadinanza «dans le
domaine de l’esprit»: eran caduti, caduti, spiccandosi, dure pere, dall’albero
di natale d’una precedente sospensiva, denominata «il possibile». Del pari la
goccia d’acqua s’inturgidisce iridandosi, e a poco a poco si sfericizza della
propria crescente gravezza sul filo della gronda: e viene alfine l’attimo, tac,
nel quale tutt’a un tratto se ne spiccica: e per il breve tempo del suo
precipitare si identifica in sé, acquista il nome di goccia d’acqua, perfino
Berkeley la chiama goccia d’acqua: entra a far parte, per due secondi, sino ad
approdar sul collo di chi a marciapiede ne raggela, d’una vasta certezza: la
certezza del «reale» storico orchestrato da Dio, storicizzato da Hegel, enfatizzato
da Carlyle. Lei, la goccia, non appena captata dalla dialettica della storia, o
dalla vertebra cervicale del transeunte, d’un subito evapora: come la Sostanza
del marchese di Château Flambé nel crogiolo dialettico del Novantadue.
Con la certa significazione d’un vaticinio
codesti fatti già accaduti e ora annotati nel registro della comune cognizione
misero anzitutto in luce, sotto lo sguardo bonificatore di Beniamino, uno nuovo
«possibile»: cioè una nuova possibilità di salvaguardare il malloppo, un nuovo
mantello salvaguardante da gettare sulle spalle del malloppo, allo scopo,
sempre, di garantirne l’unità futura ai futuri. I futuri, ordinati nel tempo in
una regolare successione strofica ovvero discendenza biologica, erano ormai
indispensabili al sistema conoscitivo di Beniamino: a quel sistema, cioè, che
gli permetteva di pensare un futuro della Sostanza, di regalare un futuro ai
milioni: dacché senza i futuri bipedi non erano concepibili nemmeno i futuri
milioni. Senza concepire i pali non si può concepire la vigna. Se il concetto
di un Io biologico ereditante gli fosse venuto meno, anche il concetto di
Sostanza ereditabile ed ereditata si sarebbe rarefatto e disciolto, come nebbia
al primo sole, nell’alpe. Con analogo e per altro antinòmico suo crepacuore il
colono travagliando lamenta, o piange, la prole mancata, o caduta invano alla
Moscova: poiché al di là delle arature e delle nebbie non intravvede chi possa
arare la sua terra, in un disperato domani.
Venutogli meno, a Beniamino, dopo la
categorica esclusiva del notaro commendator Barlingozzi, ogni gusto di inserire
nel «reale» l’ològrafa dicotomia che aveva ritenuta possibile, una nuova
«soluzione» gli si presentò, dapprima sotto le parvenze d’una incerta fantasia.
Gli apparve durante un sogno, come Amore strappacuore al poeta; e di nebulosa
forma od immagine si raffermò a poco a poco in idea, idea chiara: non più d’una
disgiunzione male ipotizzata, ma di una congiunzione matrimoniale: di un
secondo rimuginabile accoppiamento preservante l’unità della Cosa familiare,
quella «res», per l’appunto, che dà nome al «reale». (Ma i reali carabinieri
derivarono il loro appellativo da rex, regere.)
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