Bisogna
procedere più lentamente, quasi stupidamente. Sforzarsi di scrivere cose prive
d’interesse, quelle più ovvie, più comuni, più scialbe.
La
strada: cercare di descrivere la strada, di cosa è fatta, a cosa serve. La
gente nelle strade. Le macchine. Che tipo di macchine? I palazzi: notare che
sono piuttosto confortevoli, piuttosto ricchi; distinguere i palazzi
d’abitazione dagli edifici pubblici.
I
negozi. Cosa si vende nei negozi? Non ci sono negozi d’alimentari. Ah, sì, c’è
una panetteria. Chiedersi dove la gente del quartiere fa la spesa.
I
bar. Quanti bar ci sono? Uno, due, tre, quattro. Perché aver scelto questo?
Perché lo si conosce, perché è al sole, perché è un bar-tabacchi. Gli altri
negozi: antiquari, abbigliamento, Hi-Fi, ecc. Non dire, non scrivere «ecc.». Sforzarsi di esaurire
l’argomento, anche se sembra grottesco, o futile, o stupido. Non si è ancora
guardato nulla, si è solo scoperto quanto era già stato scoperto da tempo.
Costringersi a vedere più
piattamente.
Percepire un ritmo: il passaggio
delle macchine: le macchine arrivano a gruppi perché, più su o più giù nella
strada, sono state fermate da qualche semaforo.
Contare le macchine.
Guardare le targhe delle
macchine. Distinguere le macchine immatricolate a Parigi dalle altre.
Notare l’assenza di taxi,
mentre, per l’appunto, sembra che parecchie persone ne stanno aspettando uno.
Leggere quanto è scritto nella
strada: colonne Morris, edicole, manifesti, cartelli stradali, graffiti,
dépliant gettati per terra, insegne dei negozi.
Bellezza delle donne.
Vanno di moda i tacchi troppo
alti.
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Da Specie di spazi, traduzione di Roberta
Delbono, Bollati Boringhieri, Torino 2016, pp. 62-63.